Per imparare, per migliorarsi, ci sono tante strade. Un professore competente, un manuale, un collega esperto, un terapeuta, la riflessione personale, l’affiancamento ad un esperto.

Perché coaching, allora? Quando si ha un obiettivo preciso, quando si vuole acquisire una competenza e non solo una conoscenza, quando la personalizzazione è un requisito cruciale.

Il coaching serve a migliorare la performance, acquisire capacità e abilità, conseguire obiettivi, sbloccare potenzialità, a partire da caratteristiche che la persona già possiede. Per esempio: diventare più bravi a parlare a un pubblico di potenziali clienti, prepararsi alla Maratona di New York, capire quale percorso di studi è più congeniale, gestire una specifica negoziazione o esame, affrontare una dieta senza scoraggiarsi, adeguare il proprio stile di vita a mutate condizioni economiche o anagrafiche o fisiche. Un coaching non trasforma la personalità del coachee, non capovolge le sue abilità e nemmeno gliene fornisce di nuove partendo da zero. Ma le integra, le completa, le amplifica.

Non è acquisizione di nozioni, e quindi non si sostituisce al libro o al manuale, anzi, ne ha bisogno.  Non è la bacchetta magica, purtroppo. Non è l’alternativa al terapeuta per la soluzione di problemi personali. Non è nemmeno l’insegnamento di un metodo, pur essendo basato sull’uso guidato di un metodo.

Oggi si parla di coaching manageriale, sportivo, interculturale, life-style, orientamento, studio, filosofico, etico, vocale, emozionalecarriera. E anche di dieta e salute in genere, e altro ancora. Tutti casi in cui un percorso personalizzato può fare la differenza: aiutando a finalizzare le risorse e sbloccando ostacoli specifici, sperimentando varianti ai comportamenti abituali, intravedendo soluzioni nuove, trovando l’energia per ricominciare da capo.