by Giulia Stazzi

Siamo giunti all’ultima variabile evidenziata da David Rock e che completa l’acronimo SCARF (cfr. nota in fondo al testo).

Fairness: equità, in tutte le sfere della nostra vita. Ovvero, sia in campo professionale che personale, la percezione di un trattamento di equità genera appagamento. Viceversa l’iniquità è percepita  come minaccia, che spesso determina una forte risposta dell’insula, una struttura cerebrale particolarmente attiva quando si provano emozioni di disgusto.

Se la percezione di iniquità diventa pervasiva, lo diventa anche lo stato emotivo di disgusto e quindi di frustrazione, rabbia e insoddisfazione; che, cronicizzato, è anche responsabile di tutti quei malesseri comuni di origine psicofisica (umore disforico o depresso, dolori muscolari, ma di testa, malesseri dell’apparato digerente e intestinale ecc..) e che rendono spesso la vita lavorativa e personale deludente e demotivante.

 

E’ invece assolutamente interessante approfondire come invece siamo biologicamente predisposti a vivere nella percezione della condivisione e quindi della riconoscenza.

Gli studi di psicologia, infatti, dimostrano che siamo inclini a restituire ciò che abbiamo ricevuto, per ristabilire un certo stato di equilibrio. Ed è proprio la reciprocità la leva fondante nella nostra società, frutto dell’eredità evolutiva delle nostre strutture sociali nel tempo.

Lo psicologo statunitense Robert Cialdini dell’Università dell’Arizona, specialista di tecniche di influenzamento, sostiene che la reciprocità è il filo conduttore dello sviluppo umano. Infatti già dall’epoca in cui la lotta per la sopravvivenza era aspra, gli uomini sarebbero stati disposti a mettere in comune le proprie risorse a breve termine, per garantire delle condizioni più favorevoli a lungo termine.  Ciò per il principio del restituire ciò di cui si è precedentemente goduto.

L’uomo sarebbe quindi passato da una cultura del possesso esclusivo a una cultura della condivisione, un concetto che avrebbe fondato la formazione dei gruppi.

Ecco qualche esperimento a riprova della tesi.

Nel 1976 Philip Kunz e Michael Woolcott, dell’università Brigham Young, nello Utah, hanno spedito cartoline di auguri a perfetti sconosciuti scelti a caso sull’agenda; in modo del tutto inaspettato hanno ricevuto un numero significativo di cartoline di risposta, benché non esistesse alcuna relazione tra queste persone e i due ricercatori. I destinatari avevano risposto perché questa è la regola”, la reciprocità sarebbe così una regola automatica, probabilmente anche la base del nostro concetto di educazione.

 

Denis Regan, della Cornell University a New York è stato il primo a evidenziare l’effetto della reciprocità tra persone estranee e a dimostrare che essa è così forte da indurci a restituire un favore, perfino a persone che consideriamo antipatiche.

Questo l’esperimento: una persona arriva in laboratorio per uno studio sul giudizio estetico, successivamente arriva un ricercatore complice che finge di essere stato chiamato per l’esperimento. Nella sala d’attesa dove sono seduti i soggetti dell’esperimento arriva una telefonata a cui il ricercatore risponde in modo cordiale, seguita da una seconda telefonata a cui il ricercatore risponde invece in modo maleducato.

Dopo un minuto il ricercatore colloca due soggetti dell’esperimento in due stanze separate, e chiede di guardare le riproduzioni di alcuni quadri, di valutarli e comunicare le emozioni provate. Dopo cinque minuti viene concessa una pausa, il complice si  prende due bottiglie d’acqua e solo in una stanza ne offre una  al partecipante. Segue la fase di valutazione dei dipinti.

Infine, il ricercatore-complice chiede al partecipante se vuole comprare un biglietto della lotteria il cui ricavato sarà devoluto per la costruzione di una nuova palestra. Cinque minuti dopo il ricercatore torna e chiede al partecipante di valutare la propria impressione del complice sottoponendogli un questionario con coppie di aggettivi: amabile- sgradevole; generoso-egoista ecc..

Risultato: i partecipanti hanno acquistato il doppio dei biglietti della tombola quando il complice aveva offerto l’acqua minerale e soprattutto quando avevano risposto educatamente al telefono nella sala d’attesa. Erano stati acquistati in media 1,91 biglietti nel caso in cui il complice era stato educato e 1,60 quando era stato scortese. Quando il complice non aveva offerto l’acqua il numero dei biglietti era inferiore, 1 biglietto in media quando era stato cortese, 0,8 quando si era dimostrato maleducato.

Il complice era stato giudicato più positivo quando aveva offerto l’acqua, anche se era stato scortese nella sala d’attesa. Questi risultati possono essere spiegati con l’inclinazione a restituire il favore ricevuto.

Perciò offrire il proprio aiuto è sempre vantaggioso. Anche a favore della costruzione e del mantenimento di un sentimento sociale diffuso.

Chi  riceve il favore sentirà il bisogno di restituirlo. Inoltre, la spinta alla reciprocità è più forte quando la richiesta proviene da chi ha offerto già qualche cosa.

 

Come si collega tutto ciò alla nostra definizione di Equità?

Questi studi scientifici dimostrano che l’uomo tende naturalmente alla ricerca della condivisione e alla reciprocità, e che ciò spinge le persone alla restituzione  del vantaggio ricevuto.

Così le organizzazioni dovrebbero utilizzare questo principio affinchè il senso di iniquità venga contenuto, soprattutto attraverso azioni a supporto del dipendente e della famiglia.

Le persone con il passare del tempo maturano un’identità professionale, spesso anche un forte senso di appartenenza alla propria realtà lavorativa. Perciò ingaggiandole in attività di valorizzazione di sé, costruendo piani di lavoro e facilitazione a favore della salvaguardia del proprio tempo e del proprio valore economico, i dipendenti possono percepire azioni a proprio vantaggio e provare un sentimento di riconoscenza verso l’organizzazione che di fatto li impegna e li sostiene.

Per costruire e supportare la stato d’animo motivato e ingaggiato di chi sente di ricevere un trattamento equo, è necessario mettere in campo azioni di sostegno per dipendente, a salvaguardia di ciò che per lui/lei è più caro ovvero l’identità professionale e la sua famiglia.

Una nuova prospettiva in cui considerare le azioni di welfare, di politiche sociali e di formazione: che più che rappresentare un costo di per sé, potrebbero assolutamente rivelarsi un gran vantaggio: dati scientifici alla mano!

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testi qui pubblicati sul tema SCARF di David Rock

 

Fonti:

  • Gueguen Nicolas (2013), “Le radici della condivisione”, Mente e Cervello n°106.
  • Salati, Leoni, Todisco (2016), “La Neuroleadership. Da capo a manager nelle relazioni umane”, Isper Personale e Lavoro, Rivista di cultura delle Risorse Umane.

Di Sara Di Giamberardino

Psicologa psicoterapeuta adleriana, lavora presso ATM di Milano dal 2005 nella Direzione Formazione Selezione Sviluppo e Organizzazione. Si occupa in particolare di progettare ed erogare interventi di formazione relazionale/ manageriale e di selezione delle figure professionali ricercate per i diversi ruoli aziendali. Collabora come volontaria con Dimensione Animale di Rho.