Non è facile sostenere le aspettative dei nostri coachee, che si affidano e si aspettano da noi sempre l’incoraggiamento consueto che gli trasmettiamo, la forza e il vigore con cui affrontiamo le innumerevoli paure, difficoltà e bisogni della persona.

Probabilmente un’attitudine comune che abbiamo e ci spinge a offrire le nostre conoscenze, capacità e abilità è l’attenzione verso l’altro, l’orientamento verso il nostro cliente e la fiducia e la curiosità che quotidianamente si alimenta e si incrementa nell’approfondire la così vasta variabilità umana, il nostro interesse sociale.

Già negli scritti di Adler rintracciamo questa naturale tendenza:

Nessun essere umano è in grado di compiere una pur piccola azione senza sentirsi in dovere di escogitare, in un modo o nell’altro, una giustificazione per il proprio sentimento sociale; sentimento riconosciuto universalmente che, con la sua voce ammonitrice, irrompe di continuo alla nostra coscienza.

Da esso, inoltre, derivano anche il nostro modo di vivere, di pensare e di agire poiché ciascuno di noi è legato al sentimento comunitario o crede di esserlo o almeno cerca di farlo credere”.

Il nostro è un lavoro sulla persona ed proprio questo il nostro obiettivo che però talvolta può trasformarsi in un boomerang e minare il nostro equilibrio e la nostra serenità personale e professionale.

Il coaching è un mestiere della relazione che può rischiare di essere soffocato da quello che più lo motiva di più, ovvero dalla relazione stessa!

In psicologia viene definito burn out, ed è tipico in tutte le attività di cura e di servizio dell’altro.

Come fare per scongiurare questa involuzione e incoraggiare invece il proprio ingaggio in questa professione?

Il lavoro del coach ha nella sua profonda essenza la ricerca dell’altro, l’atteggiamento empatico, la sua volontà di espressione nel sostegno e nello sviluppo delle potenzialità umane.

Ed è proprio la continua, seppur nobile esposizione alle necessità dell’altro, che talvolta può appesantire e inquinare la nostra attività.

Sembra banale, ma anche il coach è una persona con le sue necessità, bisogni e aspetti professionali da sviluppare. Insomma l’eterocentratura e l’orientamento verso l’altro può farci trascurare i nostri bisogni.

E’ così che un compito vitale, di utilità sociale, può trasformarsi in mortifero, opprimente verso il sé e verso i propri bisogni.

E’ necessario a quel punto, anche per il coach, riordinare le sue priorità, staccarsi dall’aspettativa di sostegno e di aiuto che gli altri pretendono e sono abituati ad ottenere dalla sua attività e, a sua volta, se lo ritiene, chiedere un sostegno, arginare questo ruolo perenne di caregiver anche a costo di disilludere la richiesta dell’altro, sia in campo personale che professionale.

Prendere del tempo per sé, per recuperare le energie e mettere al centro i nostri bisogni non ci fa essere meno professionali, ma anzi, ci aiuta a mantenere quell’equilibrio fondamentale che la nostra professione ci esige.

Anche Adler nei suoi scritti dichiara:

E, per quanto paradossale, “certe attività, di cui non si possono negare le implicazioni sociali, possono essere esercitate solo lontane dagli altri”. (Ansbacher, pp.146-148).

Questo significa probabilmente che per essere d’aiuto veramente agli altri è necessario a volte allontanarsi, isolarsi un pochino, crearsi degli spazi di rigenerazione individuale che ci permettono poi di recuperare le energie e la lucidità da dedicare autenticamente all’altro.

Perché il coach, infondo è come un’artista che per comporre la sua opera più importante, sia essa un quadro, una scultura, uno scritto, una canzone, si distacca dalla mondanità e dal caos quotidiano per poi donare alla comunità l’essenza delle sue riflessioni e delle sue esperienze.

 

Quante volte sarà successo, soprattutto per chi svolge attività di cura, di sentire il bisogno di staccarsi dalla confusione, dall’esibizione sociale, talvolta addirittura dalla comunità a cui appartiene?

Secondo Adler, ciò è necessario perché aiuta a centrarsi (attenzione non “autocentrarsi”!), ricaricare le proprie energie, depurarsi psicologicamente, ma anche fisicamente dalle scorie “umane e disumane” assorbite.

 

Infine, cerchiamo di definire quello che può essere un sano impegno per sé e per l’altro e quello che invece può minare la nostra professione e la nostra vita:

  • certamente proteggere il nostro sentimento sociale, la nostra umanità, ciò che ci rende orgogliosi e soddisfatti in modo viscerale e che sentiamo ci valorizza.
  • cerchiamo sempre attivamente di accendere la nostra motivazione e cogliamo le opportunità che ci offre l’ambiente, creiamone di nuove! non incaponiamoci, invece, laddove il nostro impegno non è davvero riconosciuto.
  • proteggiamoci dalla stanchezza emotiva, pensiamo a come alimentarci anche in senso morale e psicologico, sviluppiamo la nostra professionalità e nutriamola di tutti gli stimoli che ci aiutano a fortificarci.
  • allontaniamoci da quelle relazioni fortemente strumentali e dalle logiche del clientelismo, non sempre la nostra professionalità è coerente con il contesto nella quale viene esercitata, l’importante è riconoscere ciò che percepiamo e pensiamo e adattare il nostro impegno all’ambiente di riferimento. L’attività professionale ci deve formare non deformare!
  • evitiamo lo sviluppo, soprattutto inconsapevole di un’autocentratura escludente, un’impermealizzazione verso l’altro, dimostrando un distacco e una denigrazione dell’altro. Il pericolo è quello di orientarsi verso il narcisismo patologico, talvolta addirittura con convinzioni assurde di onnipotenza e superiorità. Teniamo quindi i piedi per terra!

Perché come ci ricorda Adler

“Noi non possediamo il dono della verità assoluta, e per questo siamo autorizzati a formulare teorie per noi stessi, per il nostro futuro e per i risultati delle nostre azioni” 

Buone vacanze a tutti!

 

_____________

BIBLIOGRAFIA

Di Sara Di Giamberardino

Psicologa psicoterapeuta adleriana, lavora presso ATM di Milano dal 2005 nella Direzione Formazione Selezione Sviluppo e Organizzazione. Si occupa in particolare di progettare ed erogare interventi di formazione relazionale/ manageriale e di selezione delle figure professionali ricercate per i diversi ruoli aziendali. Collabora come volontaria con Dimensione Animale di Rho.