Articolo pubblicato sul 9° numero di OUTSIDER  la rivista della Camera di Commercio di Milano, con il titolo <Fra senior e junior mettici il coach>.

  • I giovani non trovano lavoro.
  • I vecchi rimangono al lavoro troppo a lungo e tolgono lavoro ai giovani.
  • I giovani devono emigrare se vogliono lavorare.
  • Certe competenze non si trovano più, se ne sono andate con chi le aveva.
  • L’Università non prepara abbastanza.
  • Che ne faremo di tutti gli ultrasessantenni pensionati?
  • Reggerà il nostro sistema previdenziale?

A casa, sui giornali e in TV il dibattito verte su questi temi. Perfino il Papa si è espresso in materia. Si dicono cose che in parte sono vere e in parte sono luoghi comuni o addirittura scorrettezze, come raccontano con “L’inganno generazionale”, un volume appena uscito, Alessandra Del Boca e Antonietta Mundo. Le due studiose dimostrano come l’occupazione dei senior non tolga niente all’occupazione dei junior, ma che anzi le due cose innestino un circolo virtuoso favorendo anche l’equilibrio del sistema previdenziale.

 

Ma in realtà sappiamo tutti come sia difficile. Difficile fare in modo che i giovani apprendano dagli anziani. Perché i giovani sono allenati ad apprezzare ed imparare cognizioni e competenze di contenuto. Non sono preparati a riconoscere ed apprezzare il know-how rappresentato dai “trucchi del mestiere”, dal saper porgere, dall’esperienza spicciola. Complementarmente i senior sono a disagio con la velocità e la concisione del linguaggio dei giovani, con la loro superiorità tecnologica ed il loro ricorso a internet per aggiornarsi.

Le due parti parlano linguaggi diversi, hanno solidi pregiudizi reciproci, condividono ben poco, tanto nella vita quanto nel lavoro. Per di più, normalmente non esiste una parte terza in grado di favorire il travaso delle competenze, al di là di un generico “affiancatevi per un mese”.

Alcune aziende, in particolare alcune multinazionali con know-how tecnologico riconosciuto, hanno però adottato con successo un processo strutturato di travaso delle conoscenze.

 

Ecco un caso specifico.

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Da: francoesposito@componentiz.it
A: gruppoquadriedirigenti@componentiz.it

Vi aspetto tutti venerdì prossimo alle 18 per festeggiare il mio pensionamento, al bar Sport di corso Italia, con i cocktail preparati apposta da mio cognato. Franco.

La mail getta nel panico i commerciali dell’azienda di componenti speciali per l’edilizia, che avevano sempre contato su Franco per gestire le proteste dei clienti, un po’ più frequenti di quello che si sarebbe desiderato.

“Esposito va in pensione? E chi lo sapeva?”
“Io no di sicuro.”
“Secondo me lo sapevano al Personale e i suoi colleghi tecnici.”
“Tu che sei il Direttore Commerciale, prova a convincere qualcuno, a farlo restare qua.”

“Fermarmi ancora un anno? Tu stai scherzando, non se ne parla. Un po’ il nipotino da seguire, un po’ che Verdelli non vedeva l’ora di farmi le scarpe, lo sanno tutti. E il resto è che non ho più voglia di discutere, discutere, discutere… Né con i clienti né con i miei e neanche con te.”

Come fare a non perdere di punto in bianco il know-how di Esposito? E contemporaneamente mantenere la motivazione di Verdelli, che si vede già promosso?

La funzione HR ha messo a fuoco che il know-how critico non era tanto l’indiscussa competenza tecnica di Esposito, ma la sua capacità di tranquillizzare i clienti, con il suo tono competente di tecnico di lungo corso.
Un cambiamento di prospettiva importante. La soluzione è stata un progetto che ha coinvolto Esposito, i commerciali giovani e un coach.

Con una serie di incontri distribuiti su qualche mese, il coach:

  • ha fatto emergere in Esposito la sua voglia di lasciare una traccia e la sua motivazione a lavorare con gente diversa dal solito, ovvero i giovani dell’area commerciale. Non i soliti tecnici testardi che conosce bene e con cui si è stufato di interagire, non i soliti clienti rompiscatole e insoddisfatti. Ma ragazzi che hanno voglia di imparare da lui, pronti a considerare preziose le sue indicazioni, pronti a mettere in pratica quello che – lui lo sa bene – è il segreto del successo;
  • ha fatto emergere nei commerciali la motivazione a imparare da un anziano perito che a prima vista non aveva niente da insegnare a dei brillanti laureati. Facendo capire loro che il successo professionale e il raggiungimento degli obiettivi di business dipenderanno molto dall’aver imparato come porgere una spiegazione, quale è la sequenza di argomenti che funziona, quale interlocutore scegliersi, quali priorità di intervento darsi, ecc.;
  • ha insegnato a Esposito a capire in che cosa di preciso risiedano le sue abilità e poi come si faccia a insegnarle, invece che a fare e a mostrare. A preparare una scaletta di argomenti e di esercizi che mantenga alta l’attenzione di giovani brillanti e preparatissimi, abituati a centrarsi sulla teoria e a essere un po’ snob. A inventarsi degli esercizi preparatori per mettere in pratica le frasi, i modi, i gesti che insegnerà loro;
  • ha insegnato ai giovani che per ricevere il distillato di una vita di lavoro occorre motivare l’interlocutore, non bastano i ruoli rispettivi di discenti e insegnante. Non basta che l’abbia ordinato il grande capo. Occorre che ognuno di loro seduca Esposito, in modo da fargli venire la voglia di trasmettere una cosa terribilmente privata come i “trucchi del mestiere”. E che poi accetti di mettersi in gioco, mettendo in pratica i modi suggeriti, per farli propri e personalizzarli, trasformarli in un vero e proprio strumento.

 

Il progetto ha un nome, “Learning by Legacy” (marchio registrato di Simonetta Bartorelli) e si basa su:

  • pianificazione meticolosa del passaggio delle conoscenze, dove il primo punto è proprio l’individuazione della competenza preziosa. Che, come nel caso raccontato, non sempre è la più ovvia;
  • coaching mirato a tutte le parti coinvolte, in modo da capovolgere gli stereotipi iniziali e allenare alla cooperazione.

Quello che interessa in questa sede è che in un caso (auspicabilmente frequente) come questo, il ruolo del coach e lo strumento del coaching sono la chiave della soluzione in quanto per realizzare questo trasferimento di conoscenze:

  • non bastano la volontà e la pianificazione aziendale per superare le difficoltà di comunicazione di cui si è parlato
  • non basta l’input dei capi, perché occorre attivare una motivazione specifica
  • non serve un’aula di formazione, perché è tutto individuale ed esercitativo e legato alla situazione
  • non bastano libri e manuali, perché si tratta di knowhow non codificato, non proceduralizzato
  • è cruciale mantenere alta la motivazione di tutti i protagonisti, prevedendo le difficoltà e aiutando a superarle
  • è cruciale monitorare il reale trasferimento delle competenze, anche prima che si trasformino in misurabile capacità di conseguire i risultati.

Di Cristina Volpi

Coach accreditata ICF e EMCC, Founder del magazine CoachingZone, Master di II livello in coaching e comunicazione Strategica. Ha operato per imprese multinazionali e familiari e not-for-profit, in Italia e in svariati paesi Europei, in USA, in Brasile, in India, lavorando con Pirelli, Studio Ambrosetti, Butera & Partners e come libera professionista; attualmente è volontaria con Sodalitas. Ha pubblicato “Leader, storie vere ed inventate di imperatori, manager e capi” Ed. Il Fenicottero; “C’era una volta il capo” Ed. Fendac; “Bilanci e Veleni” e “Banditi in Azienda” Ed. Guerini; “Sconcerto Globale” con Favero, Ziarelli Ed. Apogeo; “No Smoking Company” con Favero, Ziarelli, Ruggeri, Ed. Kowalski.