Michele era il direttore del personale di un’importante multinazionale di beni industriali. Doveva riunirsi con Antonio, il capo dell’Amministrazione e Finanza per decidere quale doveva essere il candidato da proporre alla Capogruppo come futuro responsabile amministrativo nel Sudest Asiatico con sede a Kuala Lumpur. La società aveva comperato diverse aziende nel subcontinente e aveva deciso di stabilire il quartier generale regionale in Malesia. Lo scopo era quello di inviare una persona di fiducia in espatrio per mettere ‘a regime’ il reporting e l’amministrazione che continuavano ad avere problemi nonostante il sistema fosse operativo già da diverse anni.

L’incarico doveva durare al massimo tre anni e i candidati erano due: Roberto e Laura, entrambi molto competenti e con l’esperienza necessaria. Per Antonio non c’erano dubbi: per questa posizione la migliore opzione era Roberto, perchè Laura era sposata e, secondo lui, era improbabile che il marito la seguisse, inoltre aveva un figlio ancora piccolo. Anche Roberto era sposato e la moglie aveva una propria carriera in un’altra importante multinazionale, però questo non rappresentava, secondo Antonio, un problema troppo serio. Michele non era d’accordo e avviò una lunga discussione con Antonio per ragionare sulla decisione: Laura e Roberto erano entrambi molto bravi e non si poteva scartare Laura solo per il fatto di essere sposata con un figlio!

 

La gestione delle carriere al femminile è stata fonte di dibattito in diverse organizzazioni. Spesso le decisioni relative alle carriere delle donne vengono prese in base a preconcetti più o meno inconsapevoli sulle loro disponibilità e sulla loro volontà di accollarsi rischi e sacrifici connessi al loro sviluppo professionale. I risultati non sono incoraggianti: in una grande percentuale di organizzazioni la rappresentanza di donne nelle posizioni di comando o di prestigio è ancora bassa. Quando si parla di esperienze di lavoro all’estero poi, la situazione diventa ancora più scoraggiante.

Secondo un’indagine della la Global Mobility Trends del 2015 pubblicata dalla Brookfield Global Relocation Services, le donne rappresentano meno del 20% delle persone in espatrio, nonostante il numero sia cresciuto negli ultimi anni.  Ci sono però alcuni settori dove la percentuale è più alta, come il largo consumo o il farmaceutico dove si arriva addirittura al 23%!

Questo numero così basso non deve sorprendere dal momento che nei processi per la scelta degli espatriati normalmente le aziende attingono tra funzionari, manager e direttori, che sono qualifiche nelle quali le donne non sono molto  presenti.  In passato è stato coniato il termine tetto di cristallo per definire l’insieme degli ostacoli di diverso tipo che le donne trovavano (e continuano a trovare) nella crescita professionale. Nel caso delle opportunità di espatrio possiamo dire che ci siano frontiere di cristallo dovute a pregiudizi  ed opinioni non facilitanti, che evidenziano problematiche personali quali la gestione dei mariti e figli; piuttosto che le competenze professionali. Per non parlare delle culture di uguaglianza di genere dei Paesi di arrivo.

 

A volte ci si dimentica che la gestione di un espatrio è difficile per tutti: uomini e donne. Ciò nonostante l’espatrio delle professioniste donne richiede spesso un’attenzione più particolare e del coaching, sia per i decisori aziendali, sia per la professionista stessa.

 

Il coaching sul versante organizzativo dovrebbe aiutare a rivedere alcuni aspetti del processo di selezione dei candidati e di supporto alla presa di decisioni.

  • Concentrarsi sull’esperienze, le competenze e non sul genere quando si scelgono i candidati. E’ opportuno aiutare i decisori e i gestori dello sviluppo delle risorse umane nelle aziende a concentrarsi sulle competenze e sulle esperienze necessarie per coprire i ruoli previsti durante l’espatrio. Sembra una banalità, però spesso la selezione per posizioni all’estero scarta a priori candidati a causa di preconcetti o a causa della poca chiarezza dei profili richiesti. Spesso non si riescono a vedere tutti i candidati potenziali, donne o uomini, che non appartengono a certi gruppi specifici.  Secondo lo studio della Global Mobility Trend Survey, solo il 22% delle aziende ha sistemi formali per la selezione dei candidati all’espatrio.  In questa mancanza di visibilità del pool di candidati, le differenze di genere possono essere un ulteriore deterrente perchè si tende a dare per scontato che una donna non accetterebbe la proposta di espatrio ‘per definizione’.
  • Imparare a proporre le alternative in maniera obiettiva. E’importante lasciar prendere la decisione finale alle persone coinvolte: in questo caso la candidata e il suo gruppo famigliare. Ogni gruppo è diverso: i progetti e le situazioni implicite che le famiglie sono disposti a gestire sono fattori e scelte individuali che rispondono a molti e diversi stimoli e a stili di vita sempre più in evoluzione. L’organizzazione non deve escludere scelte a priori, ma accogliere gli stimoli e le energie delle persone che decidono di sposare i progetti organizzativi e coglierne le opportunità, a parità di competenze.
  • La mancanza di “modelli” al femminile in posizioni che richiedono un espatrio è una difficoltà vera in molte organizzazioni, anche se sempre di più ci sono casi di successo di donne espatriate, cosi come un crescente network di contatti all’esterno delle organizzazioni. Qualora la propria azienda non abbia queste storie di successo al suo interno, dovrebbe ricercare associazioni che aiutino a capire meglio le caratteristiche specifiche legate ad una scelta di questo tipo e farle conoscere in azienda.
  • Supportare e offrire coaching una volta che la decisione è stata presa: Anche se il supporto alla preparazione di un espatrio è necessario a tutti, è innegabile che nel caso di una donna potenzialmente la strada potrebbe essere più complessa. Il supporto organizzativo in termini di informazione sul paese, formazione alla interculturalità ed eventuali interventi di mentoring e coaching sono molto utili.
  • Controllare il proprio talent pool ed essere pronti per agire in futuro. E’ opportuno che le organizzazioni imparino ad analizzare criticamente il numero di donne presenti nelle diverse fasce di posizioni all’interno dell’azienda per garantire la creazione di un talent pool inclusivo anche delle donne.  Ad esempio, è assodato che il periodo dopo la maternità è denso di stress per la persona, per la sua famiglia e per l’organizzazione. Le best practices indicano che le organizzazioni più avanzate sono vicine alle persone in questa fase della loro vita con supporti concreti per facilitare la cura dei loro figli: per conservarsi i loro talenti e per dare il giusto valore sociale alla maternità.

caffè

Il coaching nei confronti della donna candidata ad un espatrio dovrebbe essere invece farla riflettere sul perché la scelta dell’espatrio potrebbe essere utile alla sua crescita professionale o possa aiutarla nel proprio progetto personale. Nelle mie conversazioni con professioniste espatriate spesso ho sentito dei riferimenti all’utilità di avere avuto un coach o supporto prima, durante e dopo il processo di espatrio, per decodificare le barriere culturali, famigliari e di lavoro sia nel proprio paese che in quello di destino. Queste donne dovevano imparare a gestire i giudizi (anche e soprattutto non richiesti) di parenti, colleghi, amici: che erano spesso sorpresi dalla loro decisione di partire o che, a livello più o meno consapevole, non erano d’accordo con la loro scelta.

In un’azione di coaching indirizzato ad una donna che sceglie un espatrio i temi salienti potranno essere:

  • L’importanza del farsi avanti: spesso le barriere culturali sono auto-imposte. I principali ostacoli incominciano dalla persona stessa, che si percepisce come incapace di gestire i nuovi contesti, lasciandosi passare sotto il naso opportunità professionali. L’espatrio al femminile è più complicato ma non impossibile.
  • Le motivazioni della scelta: come in tutte le situazioni di espatrio, è molto importante avere chiaro il perché della decisione, cosa ci si aspetta di sperimentare e di raggiungere. Nel caso di una single le difficoltà possono essere potenzialmente minori rispetto a quelle di una persona con famiglia. Indubbiamente, come anche per l’uomo espatriato, la scelta sarà difficile ma per la donna, a causa dei condizionamenti sociali, potrebbe essere ancora più complessa.
  • La comunicazione della scelta in famiglia: ogni famiglia è un universo a se stante con diversi stakeholder. Per una donna probabilmente ci saranno altre persone oltre il proprio ristretto nucleo famigliare (genitori da accudire?) da coinvolgere in modo corretto. Durante il percorso di coaching, dovrà essere assicurato che sia molto forte il contratto psicologico verso l’esperienza estera e il progetto sottostante. Se si decide di partire, l’espatriata e la sua famiglia avvieranno un percorso non convenzionale e dovranno essere pronti a gestirlo.
  • Conoscere il ruolo delle donne nel paese di destinazione e crearsi un network: oltre le informazioni generali sulla cultura, è importante cercar di capire il ruolo della donna del Paese di destinazione. In aggiunta al coaching cross culturale, che fornirà una importante chiave di lettura, occorre poter stabilire subito un network locale -meglio se di donne in posizioni analoghe- ed entrare in contatto con loro.
  • Prepararsi prima di partire: è importante essere consapevoli che l’uguaglianza di genere non è vista nello stesso modo in tutti i paesi. In alcune realtà sarà più semplice come nei paesi dell‘Est e del Nord Europa, o molto più complessa come nella maggior parte dei paesi asiatici. Le aziende multinazionali spesso hanno dei programmi di Diversity Management e sperano che siano replicati in modo uniforme nelle loro consociate in giro per il mondo. Nonostante i progetti di inclusività siano spesso chiari, le declinazioni locali non sono immuni da interpretazioni, con usi e costumi diversi. Si deve essere preparate al fatto che la gender diversity possa non essere una priorità nel paese di arrivo e che magari l’espatriata stessa sarà una pioniera nel campo.
  • Essere pronte per modulare il proprio stile di comunicazione senza stravolgere l’efficacia personale: un maestro del cross cultural management in Giappone mi disse una volta che nella gestione delle differenze culturali non si deve lottare contro le culture, ma imparare a muoversi al loro interno perchè offrono sempre una via alternativa. Questo richiede però una grande capacità di osservazione e flessibilità.  In alcuni paesi dell’Asia ad esempio, per le donne non è facile  parlare apertamente delle loro opinioni.  Probabilmente in questi contesti si dovranno trovare modalità di comunicazione diverse o momenti più adatti per veicolare un messaggio ed essere ascoltate. La flessibilità in queste situazioni è un punto di forza.
  • Andare al di là del cliché che vuole le donne uniche garanti delle cure famigliari. E’ naturale che nei casi dove la donna è titolare dell’espatrio e il marito la segue, si possa presentare un ‘ovesciamento dei ruoli tradizionali della famiglia tuttora presenti in molti paesi. Esiste ad oggi una crescente fascia di uomini che sono più partecipativi nella gestione dei figli. Più in generale nelle storie di successo di famiglie di donne espatriate che ho conosciuto esisteva dall’inizio della relazione di coppia una cura reciproca dello sviluppo personale e professionale di entrambi. Nella mia esperienza la maggiore cura reciproca della coppia sul terreno professionale origina più possibilità di trovare soluzioni famigliari alternative per far in modo che che nessuno dei due perda possibilità di crescita professionale.

 

Esiste un cambio generazionale in atto. Da una recente ricerca di Pricewaterhouse Coopers sulla cultura emergente dei Millenials, si evince che il 71% delle donne di questa generazione esprima la volontà di avere un’esperienza di lavoro all’estero, considerandola chiave per la propria formazione. La gestione di questo cambiamento di attitudine sarà una nuova sfida per le organizzazioni ed è meglio che siano pronte. Le donne che decidono di intraprendere la strada dell’espatrio oggi sono praticamente delle apri-pista di una nuova modalità di rapporto tra donne e organizzazioni.

 

La scelta finale dell’azienda alla fine fu quella di inviare Laura a ricoprire la posizione nel paese del Sudest Asiatico.

Lei e il suo marito Mario hanno deciso di cogliere questa opportunità. Lui ha chiesto l’aspettativa di un anno alla sua azienda. Nella sua idea, potrà accompagnare Laura e approfittarne per passare più tempo con il figlio, imparare una nuova lingua e viaggiare tutti insieme in Asia. L’espatrio durerà due anni. Laura e Mario dovranno decidere dopo se lui tornerà a casa, o cercherà un’altra attività in loco. Nel frattempo, entrambi sono convinti che questa esperienza servirà molto a loro tre come famiglia.

Di Julio Gonzalez

Educato in Messico, Canada e Stati Uniti, vive in Italia da più di trent’anni. Manager internazionale, ha gestito direttamente, in diversi ruoli nelle Direzioni Risorse Umane dove ha lavorato, progetti di integrazione di aziende e culture diverse in Italia, Europa, Americhe, Asia e Oceania.