Una recente sessione di coaching mi ha permesso di affrontare questa arena moderna, lo spazio virtuale.

 

Da diversi anni il numero di persone che hanno almeno un profilo social cresce costantemente. Perché oggi isocial network, lungi dall’essere una sorta di spazio di nicchia, sono certamente uno strumento alla portata di tantissimi di noi. Anche per merito dell’inarrestabile sviluppo delle reti di comunicazione e della diffusione degli smartphone che ne hanno allargato la base utenti e aumentato le opportunità di accessibilità ed il tempo di utilizzo.

Siamo presenti in rete per rispondere alle più disparate esigenze. Che vanno dagli interessi professionali alla possibilità di prenotarsi un viaggio, una cena, rimanere semplicemente informati velocemente su più’ argomenti, tenere collegamenti e contatti con persone conosciute e/o gruppi di interesse.

Una vera e propria rivoluzione quella digitale. In cui ognuno di noi può notare, oltre ai numerosissimi ed indiscutibili benefici e vantaggi -temporali e spaziali- come l’utilizzo degli strumenti sociali della rete sia anche, in taluni momenti, come un’arena apertissima, sconfinata, in cui alzare la voce, magari insultare nascondendosi oppure scaricare le proprie frustrazioni.

 

La sessione di coaching che ho citato in apertura mi ha portato a lavorare con una persona che può assomigliare a chiunque di noi. Una persona che nel mondo reale incontra difficoltà enormi a gestire i propri conflitti o, anche più’ semplicemente, momenti di discussione personale o in contesto lavorativo. Mentre si pone digitalmente come molto agguerrita in alcuni frangenti, addirittura arrogante.

 

Magari anche noi siamo un po’ così: di persona conosciamo tendenzialmente solo la fuga o l’evitamento  come stile di gestione conflittuale. Mentre nel contesto social liberiamo al contrario uno stile di attacco, rabbioso, in cui un osservatore nota agevolmente l’insoddisfazione e/o la frustrazione: il carburante che alimenta questa modalità di essere digitalmente presenti.

Nei post che commentiamo in maniera provocatoria, fuori tema o in maniera irritante c’è tanto da decifrare di noi.

Ancora una volta emerge come l’aspetto più difficile da amministrare in un conflitto sia quello emozionale, e di come alcune emozioni possano diventare del tutto disfunzionali on line.

 

Non ci sono emozioni buone o cattive. Ci sono emozioni che ci orientano. E’ la risposta funzionale o disfunzionale quella cui prestare attenzione.

E in rete l’attenzione alle emozioni, che in fondo possiamo considerare come una cura di sé, può diventare un aspetto critico o particolarmente vulnerabile. Perché la mancanza di fisicità del nostro interlocutore allontana il rischio di dover affrontare la diversità.

Non credo sia una trasformazione che nasconde chissà quale mistero di noi. Per esperienza, vedo che

  • essere presenti è una responsabilità
  • essere on line è una comodità: perché permette facili sdoppiamenti, di gestire i tempi delle risposte (se voglio rispondere) e degli attacchi (se voglio attaccare), di osservare senza espormi, di criticare senza argomentare, di cercare agevolmente alleati o di defilarmi se mi vedo accerchiato da chi, invece, cerca il confronto.

I social network e la rete rappresentano una grande opportunità di ampliare la propria conoscenza, l’informazione e i contatti con le persone. Ma quando decidiamo di entrare in un social network con l’intento, più’ o meno dichiarato a noi stessi, più o meno consapevole per noi stessi, di andare in cerca di scontri facili dove un certo grado di impunità anche morale è garantito,  allora dobbiamo sapere che questo obiettivo, con molte buone probabilità, verrà raggiunto. Ma perderemo l’occasione di apprendere qualcosa di nuovo di noi, di trasformare la rabbia, la frustrazione, la paura e la delusione in energia evolutiva, in una nuova consapevolezza di noi.

 

Un passaggio tutt’altro che facile, ma credo sia interessante riflettere su questo aspetto come utilmente ho fatto con il mio coachee: la nostra libertà on line la possiamo godere ed apprezzare fino in fondo solamente quando faremo crescere la nostra capacità di imparare a relazionarci e ad operare sulla rete, nel mondo professionale oppure in qualsiasi altro ambito sociale con un approccio meno competitivo (dai risultati magari appaganti solo nel breve termine o nell’immediato) e più collaborativo,  o addirittura empatico, cioè destinato a dare un senso e un equilibrio alla nostra presenza ed alle relazioni che coltiviamo.

Di Gabriele Salvini

Giurista d’impresa e Mediatore dei conflitti da oltre 15 anni, con passione e determinazione affianca le persone e i team nel gestire e trasformare le situazioni conflittuali in opportunità di evoluzione personale grazie agli strumenti del life coaching.