Questo articolo è stato pubblicato da Umberto Bellini, Presidente di Formaper, su Outsider, la rivista di Formaper, con il titolo <Fare formazione con i piccoli imprenditori>. Quello che dice si adatta perfettamente anche alla relazione fra imprenditori e coach.

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Apprendimento degli adulti è espressione abituale per i formatori e a volte anche patrimonio di conoscenze legato a prassi progettuali e di trasmissione delle competenze. Molta meno attenzione ha invece ricevuto l’apprendimento degli imprenditori, segmento quest’ultimo meno rilevante di altri in quanto a disponibilità di spesa per la formazione.

Ma quali sono le peculiarità dell’apprendimento dei piccoli imprenditori? Per un approfondimento di questo punto rimandiamo ad una pubblicazione °  che Formaper ha prodotto ormai diversi anni fa, e nella quale la materia è stata trattata in modo piuttosto esaustivo, frutto di esperienze e di un approccio formativo originale e specificamente studiato secondo la natura dell’imprenditore e della piccola impresa.

Qui semplificheremo e sintetizzeremo fortemente questa materia complessa, abbozzando solo alcuni aspetti cruciali che un progettista di formazione dovrebbe tenere presenti, elencandoli separatamente ma sapendo che in alcuni casi essi sono connessi e in reciproca influenza. Ci stiamo riferendo ad un imprenditore titolare di una piccola impresa coinvolto direttamente nella gestione dell’azienda, e non solo apportatore di capitale.

  1. Innanzitutto occorre considerare che molte (anche se non tutte, ci sono tante eccezioni) piccole imprese si caratterizzano per un contesto informale, empirico, istintivo, caratterizzato spesso da grande flessibilità, una struttura organizzativa semplice, meccanismi di coordinamento impliciti, relativo orientamento alla formalizzazione e alla pianificazione. Quanto sono coerenti con tutto questo i sistemi, i modelli, le soluzioni complesse o mutuate da grandi organizzazioni, quali quelle spesso proposte da formatori e consulenti?
  2. Spesso l’imprenditore valorizza l’apprendimento dai pari e in alcuni casi presenta atteggiamenti di sospetto e di cautela nei confronti della formazione e della consulenza (magari corroborati da esperienze formative negative, o ritenute tali).
  3. La relazione dell’imprenditore con i formatori a volte è connotata da diffidenza – timore. Paradossalmente il possesso da parte del formatore di svariate qualificazioni scolastiche e di un curriculum professionale prestigioso rischia di non migliorare le cose. Non di rado l’imprenditore tende ad utilizzare parametri differenti per riconoscere credibilità al consulente (ad esempio la capacità di risolvere i problemi dell’azienda) o al formatore (ad esempio il grado di coerenza/sintonia/empatia con il contesto della piccola impresa, il fornire risposte applicabili, la flessibilità, la disponibilità a lavorare sui casi reali dei partecipanti, ecc.).
  4. Non disgiunto da ciò vi è un certo pragmatismo, che stimola a prediligere investimenti ritenuti passibili di produrre ritorni produttivi immediati. A torto o a ragione, la formazione viene invece percepita a volte come astratta, intangibile, fumosa. Spesso il piccolo imprenditore, come gli adulti in genere, si iscrive ad un percorso formativo perché ha problemi da risolvere, [2] e vuole percepire “ritorni” immediatamente applicabili. Il problema è che una certa formazione si basa invece su processi di teorizzazione, di razionalizzazione, su componenti di tipo cognitivo e razionale, su processi di pensiero analitico e riflessivo, che non sono quelli utilizzati e preferiti dall’imprenditore. Naturalmente il formatore deve sapere che questo pragmatismo a volte può divenire una richiesta esasperata di concretezza, fortemente orientata alla tangibilità immediata, e può quindi essere limitato, miope e fonte di problemi. Siamo in un campo dove il discrimine tra virtù e vizio è piuttosto sottile.
  5. Gli imprenditori, e gli adulti in genere, hanno un approccio pratico, che privilegia l’imparare facendo e l’imparare risolvendo problemiA volte (ma non mancano molti esempi contrari) la formazione, enfatizzando le conoscenze teoriche e le concettualizzazioni, ha risposto alle esigenze di apprendimento degli imprenditori (e, di nuovo, degli adulti), predisponendo setting d’aula in cui stare seduti 6-8 ore al giorno, ascoltando, guardando sequenze di slide, facendo domande, prendendo appunti. In alcuni casi i formatori sottintendono, di fatto, processi semplicistici e lineari che poco hanno a che fare con gli apprendimenti più importanti e profondi della nostra vita. problemi. Siamo in un campo dove il discrimine tra virtù e vizio è piuttosto sottile.
  6. Il linguaggio adottato a volte nelle aule di formazione e nei materiali didattici è un gergo, distante dal linguaggio semplice, diretto e concreto utilizzato invece dall’imprenditore. Un lessico da iniziati può rendere l’imprenditore diffidente e scettico nei confronti della formazione, oltre che intimorirlo. La sfida, spesso proficua per lo stesso formatore, è di riuscire a rendere accessibile il sapere manageriale senza banalizzarlo.
  7. L’imprenditore ha, o ritiene di avere, scarso tempo per la formazione e la cura delle competenze, con una concezione del tempo speso in formazione a volte diversa da quella posseduta dai manager di grandi aziende.
  8. Inoltre, a volte, tornato in azienda, scarseggiano anche le risorse di tempo, di capacità di astrazione, di metodo, che sarebbero necessarie per trasferire quanto appreso.

Si tratta di peculiarità sfidanti, ma che possono anche rivelarsi fruttuose e salutari per il coach e per il formatore chiamati di fronte ad esse a interrogarsi e a riflettere sulle proprie teorie e modelli in merito alla formazione, al proprio ruolo, all’apprendimento. E, naturalmente, alcune di queste peculiarità possono aiutare anche quando si fa formazione con i manager e collaboratori di grandi imprese.

 

Ovvio che queste caratteristiche dell’apprendimento imprenditoriale vadano tenute particolarmente presenti nel momento in cui il formatore progetta il percorso formativo e decide quali metodologie siano più coerenti e funzionali con questi destinatari. In sintesi, riteniamo che le caratteristiche dell’apprendimento imprenditoriale portino semplicemente alle estreme conseguenze i principi dell’apprendimento degli adulti in genere. E che perciò si debba prestare particolare attenzione alle tipiche esigenze andragogiche che già dovrebbero costituire abituale oggetto di cura da parte del formatore e del coach.

 

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° Paolo Pulci, La progettazione di interventi formativi con gli imprenditori, in A.A.V.V. – Formaper, Fare formazione con le piccole imprese, F. Angeli, 2001

 

1 – In questo articolo abbiamo fatto abbondante riferimento anche ai contributi di A.A. Gibb, studioso e formatore inglese. Cfr. A.A. Gibb, Training the Trainers for Small Business, in Journal of European Industrial Training, vol. 14, n. 1, 1990; A.A.Gibb, Training for enterprise and small business in Europe. The way ahead, in Cedefop Vocational Training Bulletin, n 3, 1987; A.A. Gibb, The Small Business Challenge to Management Education, Mcb University Press, 1983. cfr. sul tema anche Documento Cedefop, La formazione alla gestione per le piccole e medie imprese, Introduzione e tutte le Guide, 1990.
2 –  M. Knowles, The Adult Learner, A Neglected Species, in Aif, Professione Formazione, F. Angeli, 1989; M. Bruscaglioni, La gestione dei processi nella formazione degli adulti, F. Angeli, 1997; A.A.V.V. Lo sviluppo di servizi per la piccola impresa europea diretti a collegare la domanda e l’offerta. Progetto Adapt Ia fase IC 0048/A Rapporto nazionale n. 2, 1999.

 

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