Come ne parlerebbe Socrate? di paura di quello che può succedere, fiducia e anche overconfidence, loss aversion, competizione che genera innovazione sociale e di prodotto, bisogni complessi…
tempo di lettura 20′
Sàpilo: Paura, eh?
Socrate: Ohibò, amico Sàpilo, che dèmone di saluto è mai questo? Ti sei per caso svegliato con il piede sbagliato?
Sàpilo: Paura, paura: paura per tutta Atene!
Socrate (un po’ allarmato): Oh no, Sàpilo… Non dirmi che c’è un’altra peste in giro! Ricordo ancora la precedente, avrò avuto cinque o sei anni allora… Tutti chiusi in casa, e i pochi che attraversavano l’agorà, costretti a portare una di quelle pesanti maschere di legno da tragedia… Cosa alquanto appropriata alla situazione, peraltro.
Sàpilo: Ma quanto sei antico, Socrate! Ancora con queste tue paure ancestrali…Non hai ancora capito che i nostri medici hanno debellato la peste per sempre, e non avremo mai più la disdetta di dovervi assistere?
Socrate: (perplesso) Sarà…
Sàpilo: Ma sì, Socrate. Tieniti questi racconti per i tuoi nipoti. Eppure… in un certo senso si tratta di un nuovo tipo di peste, che si diffonde e contagia; non uccide, ma rattrista profondamente gli animi.
Socrate: Falla finita, Sàpilo, sai che sono paziente solo quando conduco io il gioco. Di che parli?
Sàpilo: Ricordi il mio amico Telecòmaco? Ma sì, quello che aveva messo su una fiorente intrapresa da vasaio. Ma che dico, da “iper” vasaio. Rammenterai che solo pochi mesi fa aveva due centinaia di mastri vasai con relativi apprendisti al suo servizio. E le sue ceramiche – è noto ai più – arrivavano ai quattro angoli del nostro piatto mondo.
Socrate: Veramente, o Sàpilo, rammenterai che Pitagora aveva qualcosa da ridire sulla piattezza della Terra…
Sàpilo: Sei davvero antico, Socrate: con tutto il bene che ti voglio, dare credito a un numerologo ‘ndranghetista! Forse che se l’è fatta tutta a piedi la Terra per saperlo? Scienza, scienza, non magia!
Socrate: (sempre più perplesso) Sarà, sarà…
Sàpilo: Per farla breve, Socrate, le cose sono andate un po’ storte. Ora ti racconto… Ma, guarda il caso, ecco arrivare il mio amico Màglione. È lui che si occupa dell’intrapresa per conto di Telecòmaco. (al nuovo arrivato) Màglione, amico caro, ti va di dire al nostro Socrate qualcosa del tuo mestiere?
Màglione: Ti ringrazio per la domanda, amico Sàpilo. È presto detto, o Socrate. Il nobile Telecòmaco, come sai, mise su anni fa una bottega in cui addestrò alcuni schiavi a produrre vasi. Con il tempo, essendo tali vasi sempre più belli e gli schiavi sempre più veloci, cominciò a mandarne qualcuno al mercato, e poiché glie ne chiedevano sempre di più, man mano affiancò agli schiavi diversi artigiani, e assoldò mercanti per recare il prodotto sempre più lontano. A un certo punto l’attività divenne talmente complessa che Telecòmaco, con la condivisibile argomentazione che non era degno di un nobile disattendere la filosofia e la palestra per attività così venali, mi affidò il compito di organizzare e condurre le attività, avendo massimi poteri di decisione, e mi fissò alcuni obiettivi da raggiungere.
Socrate: Ciò mi pare cosa buona, per Zeus. Perché allora Sàpilo scuote la testa e mi parla di peste e paura?
Màglione: Perché, Socrate, da qualche tempo a questa parte non c’è più il clima di concordia e collaborazione di cui andavamo giustamente fieri. È cresciuto il disagio, la diffidenza… diciamola tutta, amico, la paura!
Socrate: Ad essere onesto, più che la paura, mi stupisce il passato clima di concordia e soddisfazione: non mi riesce proprio di immaginarlo in un bottegone pieno di schiavi!
Màglione: Ma no, Socrate: come dicevo, gli schiavi sono stati solo il primo passo. Ma poi, dopo che molti di essi si sono auto-eliminati (sai, un incidente qua, una punizione un po’ severa là) Telecòmaco ha fatto che toglierli tutti dalla produzione.
Socrate: Bravo Telecòmaco, un atto di giustizia e generosità! Li ha dunque resi liberi?
Sàpilo: Macché, Socrate, li ha venduti a un piantatore che li ha caricati su una nave e portati oltre le colonne d’Eracle.
Màglione: Non stiamo a sottilizzare… Sta di fatto che, nel frattempo, la bottega era diventata un’intrapresa modello.
Socrate: E dunque?
Sàpilo: Lascia che ti spieghi io, che ho seguito la cosa da imparziale osservatore. Dunque, da tempo le cose andavano lentamente peggiorando. Dove prima si facevano dieci vasi, ora non se ne producevano più di nove, addirittura otto. Un fenomeno piuttosto allarmante, ma comunque interessante da studiare. Pensavo di chiamarlo produttività decrescente, che te ne pare?
Socrate: Molto appropriato, Sàpilo! Ma perché questa cosa decresceva?
Màglione: Che vuoi, Socrate, i nostri artigiani sono molto bravi, ma siamo costretti – che tempi! – a dar loro denaro in cambio dei loro servigi. Per di più non si accontentano proprio della sbobba che eravamo usi dare in pasto agli schiavi. Per non parlare del fatto che sopportano di malavoglia di lavorare dall’alba a dopo il tramonto tutti i giorni… Tutte cose che, al tempo degli schiavi, non erano certo oggetto di trattativa. Così, per necessità, abbiamo dovuto tornare a introdurne, gradualmente, un certo numero…
Sàpilo: Un altro fenomeno inquietante ma interessante, sai, Socrate? Prova a immaginare: togliamo agli uomini le incombenze più sgradevoli e faticose, scaricandole su esseri che, secondo l’opinione corrente, uomini liberi esattamente non sono. Simili, piuttosto, al Tàlos di Creta. Mi verrebbe da denominarli – che dici? – automi (un amico barbaro delle terre boreali mi suggeriva robot, ma mi è parso nome troppo esotico e incomprensibile). D’altra parte, se loro sono automi, perché non chiamare l’intero processo automazione industriale?
Socrate: Avrei una domanda, ma forse la storia non è finita qui, non credi, Sàpilo?
Sàpilo: Mi hai letto nel pensiero, Socrate. Vedi, sarà ormai qualche anno che, davanti a ogni bottega di Telecòmaco, in Grecia o altrove, ne spunta una quasi uscita dal nulla. Dalle indagini dei mercanti, sembra provengano tutti da uno strano paese del lontanissimo oriente, che alcuni chiamano Sinae. Immancabilmente, vendono a metà del prezzo. Ora, non si può proprio dire che all’inizio i loro vasi fossero paragonabile a quelli di Telecòmaco. Malformati, le anse storte, a volte addirittura fessi. Puoi immaginare che, nei primi tempi, chiunque desiderasse un’anfora degna di questo nome, si rivolgeva ancora al nostro amico. Ma, con il tempo, i difetti sono stati progressivamente corretti, e oggi come oggi non saprei dire quali differenze ci siano tra i due manufatti. Questi Sinaesi sembrano dei copiatori perfetti.
Socrate: E il prezzo, sono pronto a scommettere, non è cambiato, giusto?
Sàpilo: È così, Socrate.
Socrate: Del resto, ragionando come all’animale razionale conviene, forse che dovrei acquistare il vaso di Telecòmaco a prezzo doppio che quello dell’orientale, se null’altra differenza vedo?
Sàpilo: No di certo, amico. Lo postula ogni teoria del comportamento economico.
Socrate: E dunque, se non aumentano gli acquirenti di vasi quali essi siano, deduco che Telecòmaco venderà assai meno vasi…
Sàpilo: Anche noi economisti lo pensiamo.
Socrate: Ma Telecòmaco paga ancora tutti i suoi artigiani, se ben ragiono, e ha appena acquistato nuovi schiavi; d’altro canto, meno vasi, meno denaro che entra: che ne sarà del suo guadagno?
Màglione: Qui ti voglio, Socrate. Qualcuno è di troppo, non credi?
Socrate: (puntuto) Uno sicuramente, ne convengo. (meno caustico) Credo che forse Telecòmaco potrebbe fabbricare vasi completamente diversi, o di tale bellezza che l’acquirente sarebbe disposto a pagare una differenza. E tu forse potresti pensare di andare a venderli in luoghi in cui Sinae ancora non si è palesata.
Màglione: Capisci poco di affari, vero Socrate? In fondo, in passato abbiamo sempre fatto così. Chiedono meno vasi? Ne faremo meno. D’altra parte, se proprio dobbiamo sacrificare qualcuno, dovremmo tagliare gli artigiani, che ci costano ogni giorno, o gli automi, come li chiama Sàpilo, che si pagano una volta per tutte (anzi, che abbiamo già pagato dracme sonanti)? Senti qua, Sàpilo. Gli schiavi potremmo chiamarli “Investimento di Capitale” – anche se sarebbe meglio Bracciale, visto che sono più braccia che teste. Investimento perché ogni tanto qualcuno di loro viene investito da un ritorno di fiamma del forno. Siccome poi l’acquisto è una tantum, ma poi ci servono per anni e anni, nei nostri conti potremmo spesarli un tot all’anno. Potremmo chiamarlo ammortamento, perché di tanto in tanto qualcuno di loro, mi capisci, ci lascia la pelle. E tu, Socrate, che ne dici?
Socrate: Temo che non apprezzeresti la mia risposta. Comunque, adesso comprendo dov’è finito il clima sereno di una volta. Vedi, tempo fa il mio amico Maslone, profondo conoscitore degli uomini, e iniziato ai misteri d’Egitto, mi raccontava che ciò che muove gli uomini ad agire è simile a una piramide, la Piramide di Maslone, come è stata da allora conosciuta.
Màglione: Una piramide? Che buffa idea!
Socrate: Ma dimmi, Màglione, tanto per ragionare un po’: quali ritieni possano essere i bisogni più immediati dei vostri artigiani nella loro vita?
Màglione: Mangiare, io direi. E bere. Acqua, naturalmente. Anche assicurarsi una discendenza.
Socrate: Bravissimo. E puoi figurarti che questi bisogni costituiscano la solida base di una piramide di ciò che motiva l’uomo a vivere?
Màglione: Posso eccome. Comincio a capire dove vuoi andare a parare… Sopra questa base, io ci metterei la necessità di essere membri della loro comunità, che magari vengano per sovrappiù apprezzati e stimati per la loro abilità nel mestiere di vasaio…
Socrate: Ci siamo quasi. E alla punta della piramide?
Màglione: Beh, non saprei. E chi ci ha mai parlato? Posso parlare solo per la nostra classe. Noi aristocratici abbiamo al vertice delle nostre motivazioni il buon vivere, rettamente, magari filosofando anche un po’. Se consentite anche a me di nominare qualche nuovo concetto, parlerei di autorealizzazione … Che ve ne pare?
Sàpilo: Te lo dicevo, Socrate, che il mio amico è in gamba…
Socrate: Posso rassicurarlo: non solo gli aristocratici perseguono l’autorealizzazione. Ma ora, Màglione, dimmi: un tuo artigiano che non riesca a sfamarsi, o a dissetarsi, o nutrire i propri figli, può mai lavorare con tutta l’attenzione che il buon lavoro richiede, mosso dal desiderio di essere apprezzato per la sua opera?
Màglione: Affatto Socrate, non lo credo proprio. Non posso occuparmi del secondo livello della piramide se non ho soddisfatto il primo, dico bene?
Socrate: Dici benissimo. E ora, Màglione, spiegami: a che livello della piramide è il bisogno di sentirsi sicuri di avere di che vivere, per sé e per la propria famiglia, magari con un lavoro che non perderai dall’oggi al domani?
Màglione: Alle fondamenta, Socrate. Ma… ohibò, ora comincio a capire! Come possono i miei artigiani lavorare bene nella paura che Telecòmaco, oppresso dai problemi della bottega, decida di lasciarli a casa? È questa la paura di cui parlava Sàpilo? È per questo che il clima non è più sereno nella nostra bottega?
Sàpilo: Ci puoi giurare, Màglione. La paura è una gran brutta cosa.
Socrate: Lo è, Sàpilo. In ogni persona, e in ogni gruppo di persone. Ma, giusto per amore di ragionamento, soffermiamoci su un’organizzazione, o comunque vogliate chiamare un certo numero di individui che intraprendano qualcosa con un obiettivo comune. Siamo sicuri che la paura abbia solo conseguenze negative?
Un’organizzazione deve avere paura della paura?
Màglione: Che domande, Socrate! L’abbiamo appena detto: sotto l’effetto della paura sono più preoccupato della mia sorte che del mio lavoro. I miei colleghi diventano miei concorrenti nella corsa a non farsi licenziare. Tengo per me ciò che so, per non trovarmi un giorno a essere superato in questa corsa. Non mi avventuro nel provare qualcosa di nuovo, per il timore di sbagliare e di essere punito; e potrei continuare. No, Socrate, credimi: non vedo nulla di positivo nella paura.
Socrate: Forse hai ragione tu. Ma proviamo, per puro gusto del dialogare, a cambiare leggermente il punto di vista. Ti propongo questo gioco. Hai due opzioni. In una, ti regalo 50 dracme, e chiamo α questa scelta.
Màglione: Grazie, Socrate, che bella idea!
Socrate: Calma, Màglione. In alternativa (scelta β) puoi lanciare una moneta: se esce testa, te ne do altre 100, se esce croce non prendi niente. Quale sceglieresti?
Màglione: α, certamente: pochi, maledetti, e subito, come diciamo noi aristocratici d’affari…
Socrate: Bene, io stesso mi sarei comportato così. Ma ora facciamo un altro gioco. Ti regalo 100 dracme. Ma…
Màglione: Non dire castronerie, Socrate, sappiamo bene che sei sempre al verde…
Socrate: Ma, appena intascate, sei obbligato a scegliere tra due possibilità. Primo, diciamo α1, mi riprendo 50 delle tue dracme. Secondo, β1, lanci una moneta: se esce testa, non perdi nulla; in caso contrario, mi riprendo tutte le 100 dracme. Che fai?
Màglione: Questa è crudeltà, Socrate. Beh, penso proprio che tirerei la moneta…
Sàpilo: Sarà, Màglione, ma nelle tue scelte qualcosa non mi convince. Tu sai far bene di calcolo, e sai come si affrontano le incertezze della casualità. Vediamo. Hai fatto la scelta α, e ti ritrovi con 50 dracme. Se avessi tirato a sorte, β, con quanti soldi saresti rimasto?
Màglione: La scommessa è 1 a 1, la posta in giuoco 100: direi, in media, 50 dracme.
Sàpilo: Giusto. Ora, nel secondo esempio di Socrate, se non accetti il tiro a sorte (β1), parti con 100, te ne tolgono 50 e rimani con 50. E se invece lanci la moneta? (β1)
Màglione: Parto con 100. La scommessa è 1 a 1, la posta in giuoco 100 (in perdita): direi, in media, 50 dracme.
Sàpilo: Dunque, gira e rigira, sempre con 50 dracme resteresti, in media. Ma, nel primo caso, hai scelto di non rischiare nulla (α).
Màglione: E nel secondo (β) ho deciso di rischiare. Ma perché, se il risultato alla fine è lo stesso!
Socrate: Forse la posta in gioco, pur avendo lo stesso valore economico (50 dracme) ha un’importanza aggiuntiva per te. Vediamo, nel primo caso parti da 0, e la questione è rischiare di guadagnare 100. Nel secondo, parti da 100, e la questione è rischiare di perdere 100, giusto?
Màglione: Per Bacco – scusa, per Dioniso – è vero: quando si tratta di guadagnare 100 dracme non corro rischi e mi accontento di 50; ma quando vedo la possibilità di perderne 100 accetto il rischio piuttosto che limitare i danni? Ma 100 dracme perse non valgono quanto 100 dracme guadagnate?
Socrate: Al mercato forse sì, ma nella nostra testa, certo, no. Il dispiacere di perdere una somma pesa di più del piacere di aver guadagnato una cifra equivalente. Ti dirò di più: secondo me pesa almeno il doppio.
Sàpilo: Ho già pronto un nome per questa scoperta: avversione alle perdite. E aggiungo che, secondo me, ciò vale molto al di là del vile denaro. Direi la stessa cosa per la stima, per la considerazione sociale, per la sicurezza: per tutta la Piramide di Maslone, direi. Questo spiega anche perché la paura di perdere paralizza un’organizzazione, come peraltro Màglione ha già sottolineato.
Socrate: Ma dimmi, amico Sàpilo, e perdona la mia ingenuità in questioni di denaro. Supponiamo che io domani voglia imitare il nobile Telecòmaco, e avviare una mia vaseria. Andrei certamente incontro a costi e fatiche. Diciamo, 1000 dracme. Se tutto va bene, dalla mia intrapresa ricaverò una somma X. Ma il saggio – quale io, come sapete, non sono – mi direbbe che non ho certezza di riuscire. Dunque, dovrò tenere conto che il caso mi gioca contro, diciamo pure 1 a 1, sono ottimista. Qual è la cifra X che mi spingerà dunque a farmi vasaio?
Màglione: Sarai un filosofo, Socrate, ma sei anche un po’ debole in matematica. Se il caso è equo, X diviso due è la mia attesa di guadagno dall’operazione. Dunque, qualsiasi cifra superiore a 2000 dracme rende vincente la tua scommessa.
Socrate: Ma non abbiamo appena detto che una perdita vale due volte un pari guadagno? Per non affliggere la mia anima, dovrei dunque…
Màglione: Ricavarne non meno di 4000!
Socrate: Almeno così mi sembra. E tu, Sàpilo, dimmi: quante intraprese sono in grado di garantire quattro volte ciò che tu spendi?
Sàpilo: Non troppe, Socrate. Altrimenti tutti le tenterebbero, e le probabilità di riuscita sarebbero minori, e la somma da guadagnare ancora più alta, e…
Socrate: Mi sembra che siamo finiti in un paradosso. Come mi spieghi allora che le intraprese possano esistere? Come può volare un calabrone?
L’ottimismo del CEO
Sàpilo: Mio caro Socrate, non conosci proprio il mondo; e non sai come sono questi personaggi come Telecòmaco e lo stesso Màglione; io li chiamo CEO.
Socrate: CEO?
Sàpilo: Certamente: è un acronimo per Confidenti Estremamente Ottimisti. Vedi, mio caro, tu dici di continuo che una sola cosa sai: di nulla sapere (e, diciamo la verità, siamo anche un po’ stufi di questo siparietto). Ma noi umani non siamo come tu dici di essere. Semmai, anzi, pensiamo di sapere qualcosa in più di quanto realmente sappiamo. E così, un po’ per tutte le nostre qualità (positive, s’intende). Conosci il motto degli abitanti delle terre del lago Uobègon?
Socrate: Mi cogli impreparato… D’altra parte, come sai, una sola cosa so: di…
Sàpilo: (irritato) E dàgli…(riprendendosi) Beh, questi uomini sostengono che, tra le altre cose, “i loro figli sono tutti al di sopra della media”.
Socrate: Ohibò, e come è possibile? Se capisco cosa significa una media, qualcuno potrà essere al di sopra di essa, ma qualcun altro dovrà di necessità esserne al di sotto!
Sàpilo: Paradossale? Questo è l’uomo, amico mio. Il colto e l’inclita, tutti abbiamo un’opinione piuttosto generosa di noi stessi. Paradosso nel paradosso, chi più sa, il vero esperto, è a conti fatti il meno iper-confidente (o overconfident di tutti, come si ostina a suggerirmi un amico albionico).
Socrate: Appunto, Sàpilo, come me che una cosa sola…
Sàpilo: (tagliando corto) E sai chi sono (da una mia piccola indagine) i più soggetti a questo vezzo? Politici, uomini di intrapresa, e, udite udite, i CEO! Non per caso li ho chiamati Confidenti Eccessivamente Ottimisti! Ti suggerisce qualcosa?
Socrate: Ma certo! Vediamo se ho capito. Per l’avversione alla perdita, se devo impegnarmi in un negozio la percezione del mio guadagno deve essere almeno due volte superiore alla perdita. Ma, come dice Màglione, nel mezzo c’è la probabilità di riuscita. Più alta essa è, più bassa la cifra minima che mi compensa, e viceversa. Dunque, se sono iper-confidente, sicuro dei miei piani, basta una promessa di remunerazione molto più bassa per farmi agire!
Màglione: Socrate, sei un ganzo!
Socrate: Un cosa?
Sàpilo: Lascia perdere, Socrate. Ecco come la vedo.
- Nelle cose della vita (e gli affari non fanno eccezione) l’uomo è frenato da una forza, l’avversione alle perdite, che gli ricorda costantemente di muoversi con prudenza, e non prendersi troppi rischi. Se il mondo fosse dominato da tale forza, ce ne staremmo tutti a casa.
- Ma esiste una forza opposta, l’iper-confidenza, che ci spinge a sopravvalutare le nostre capacità, o a sottovalutare i pericoli, o tutt’e due. È tale forza che ci spinge a intraprendere, a creare e sperimentare cose nuove. Come tra paura e hybris, come tra ordine e caos, come tra obbedienza e autonomia, pendoliamo tra l’una e l’altra, e da questo nasce la nostra vita.
Socrate: Sàpilo, tu sei un filosofo, e di quelli che sanno tante cose, non come me che… (cambia registro di fronte al bastone brandito dall’amico) A proposito, ciò che dici mi riporta alla mente la parabola dei cigni neri.
Sàpilo: Va bene tutto, ma almeno un po’ di zoologia potresti studiarla! Anche un infante sa che i cigni non sono che bianchi…
Màglione: Certo, anch’io ne ho sempre incontrati di bianchi! Zeus stesso, per intortarsi Leda, prese le sembianze di un cigno: bianco, naturalmente. E, del resto, ne ho visto giusto stamane uno nel laghetto…
Socrate: E ciò ti conferma nella vostra teoria che tutti i cigni sono bianchi.
Màglione: Ci puoi giurare, amico.
Socrate: E sia. Ma se per caso dovessi vedere con i tuoi occhi un cigno nero in carne ed ossa? Che ne sarebbe della teoria? In fondo, qualunque semidio potrebbe domani decidere di trasformare il bianco in nero.
Màglione: Ti do ragione. Dovrei ricredermi completamente. Ma è un’eventualità talmente improbabile…
L’imprevisto c’è sempre
Socrate: Qui sta il punto, Màglione. Vedi, sono certo che, nella vostra bottega, possano accadere cose che ostacolano il vostro buon lavoro. Ad esempio, qualche mercante che tenta di rubarvi qualche dracma…
Màglione: È accaduto, in passato. Ma, su mio suggerimento, abbiamo messo in piedi un sistema di regole e di controlli molto rigido, e contabili che verificano e riverificano ogni passaggio di denaro.
Socrate: O un mastro fuochista che abbandona la bottega per passare improvvisamente a un concorrente…
Màglione: Cosa credi, Socrate, che siamo nati ieri? Siamo organizzati e specializzati: sappiamo che un fuochista ha un mestiere critico, per cui ne abbiamo due. E comunque abbiamo scritto ogni dettaglio della procedura, papiri su papiri, conservati in un luogo segreto. Appena scatta l’emergenza, ognuno sa perfettamente cosa fare: siamo una gioiosa macchina da guerra! Per non parlare di quella che Sàpilo ha chiamato automazione industriale: i nostri schiavi fanno tutte le operazioni di base, dal trasporto della creta al suo impasto, senza che i nostri mastri artigiani debbano far altro che disegnare il vaso e modellare il materiale. Abbiamo previsto ogni possibile problema, e ogni soluzione è estensivamente proceduralizzata.
Socrate: (un po’ deluso) Capisco… (improvvisamente illuminato) Ma ora, supponi che, per un’improvvisa pestilenza che colpisca i vostri schiavi, dobbiate isolarli lontano da Atene per qualche mese, e che i vostri artigiani, rimasti immuni, debbano fare a meno della automazione. Come se la caverebbero?
Màglione: Mi cogli alla sprovvista, Socrate. Non ci avevo pensato. Credo proprio che sarebbe un disastro: i nostri artigiani sono abituati a modellare e basta da talmente tanto tempo – e ci sono apprendisti che hanno sempre fatto solo quello – che non sarebbero in grado di sostituirsi alla automazione. Non uscirebbero troppi vasi dal forno… Ma ora che me lo hai detto, posso ben prevedere un meccanismo per affrontare questa eventualità…
Sàpilo: Salvo scoprire che c’è sempre un pericolo che non si era previsto. Vedi, Màglione, le organizzazioni come la tua mi sembra siano in preda a una sorta di hybris. Pretendono di poter conoscere ogni evento futuro, e prevenirne gli effetti perniciosi. Controllo totale. Il loro obiettivo è quello di eliminare il più possibile ogni casualità, ogni volatilità, ogni errore. In un certo senso, per restare ai nostri discorsi di poco fa, cercano di eliminare la paura. In un simile ambiente, le persone si adagiano nella tranquillità, perdono a poco a poco le capacità assorbite dalla “automazione”, e la loro attenzione, scarsamente sollecitata ed esercitata, si affievolisce. Ciononostante, tutto funziona quando gli eventi sono prevedibili e previsti, pur a prezzo di una crescente rigidità e meccanicità, che rende l’organizzazione fragile.
Ma gli eventi più impensati, più improvvisi, più catastrofici, quelli che Socrate chiama cigni neri, sappiamo essere nelle mani degli dèi; che, non ho bisogno di ricordarlo, non amano le manifestazioni di hybris. E non fanno spesso annunciare le loro azioni. Devo rammentarvi, a proposito della bottega, il vaso di Pandora, che per un vezzo di giovinetta liberò i mali del mondo, che si abbatterono sull’umanità? O la inaspettata sparizione dell’isola di Atlantide, sprofondata “in un singolo giorno e notte di disgrazia” da Poseidone?
Màglione: E dunque, se è hybris pensare di anticipare e proteggersi da ogni singolo rischio possibile, come dovrebbe essere un’organizzazione?
Un’organizzazione progettata per resistere e forse trarre vantaggio dall’incertezza
Sàpilo: “I have a dream” [1]. Sogno un’organizzazione che non insegua la protezione dai pericoli, ma che venga progettata per resistere ad essi, e talvolta a trarne vantaggio. Che non si incaponisca ad eliminare ogni minimo errore, ma che accetti una qualche tolleranza ad essi: perché una piccola dose di errori, e di casualità, produce apprendimento, tiene alta la vigilanza rispetto ai pericoli e alle opportunità, allena ad affrontare l’imprevisto dietro l’angolo. Forse ha ragione Socrate: una piccola dose di paura, in un’organizzazione, la rende meno fragile e più, consentitemi il neologismo, antifragile.
Socrate: Dunque le nostre organizzazioni, se ben capisco, vivono nella maggior parte del tempo in uno stato di stabilità, che riduce la paura, ma le rende pericolosamente esposte a cigni neri (o vasi di Pandora, se preferisci) in grado di distruggerle.
Quelle che sogni, invece, vivono in uno stato permanente di casualità e anche di errori: ma piccoli, tali da non metterne a repentaglio l’esistenza; e da allenare la vigilanza, la reattività, e in ultima analisi la capacità di resistenza agli eventi epocali. Antifragili, dunque, a costo di un briciolo di paura.
Sàpilo: Bene capisti, Socrate.
Socrate: Mentre ci parlavi in modo così ispirato, Sàpilo, mi venivano in mente gli insegnamenti del grande Talete. La temperatura regola lo stato dell’acqua. Quando è molto bassa, essa è ghiaccio. Immobile, duro. Fermo. E, come sappiamo, si spacca facilmente. Se è molto alta, diventa vapore: disordinato, caotico, si disperde nel cielo, senza nulla produrre[2]. In mezzo è acqua liquida: duttile, sottile, capace di prendere la forma del suo contenitore, indistruttibile.
Così è la paura.
- Le organizzazioni senza alcuna forma di paura vivono allo stato aereo, e si dissolvono nell’etere.
- Un po’ di paura le tiene ancorate alla terra, ma hanno bisogno anche di un po’ di iper-confidenza, almeno in alcuni degli individui che la compongono: serve per intraprendere, per apprendere dagli errori, per innovare. Senza di essa, non sopravviverebbero.
- Ma troppa paura agisce come il gelo nel corpo umano: disattiva gran parte delle funzioni vitali, lasciandoci vegetare alla mercé degli eventi traumatici. Ci vuole di tutto per fare un mondo.
Màglione: Ho capito tutto: vado a scrivere una procedura contro la pestilenza degli schiavi!
Nuvole nere minacciavano il Partenone.
________________
[1] Esclamazione dialettale dal significato incerto, pronunciata tipicamente dopo abbondanti libagioni
[2] La macchina a vapore di Erone di Alessandria risale solo al 1° secolo d.C.
________________
L’immagine di copertina riproduce un quadro di Maurizio Campitelli, tecnica mista
