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Qualcuno se ne era accorto già nel 2016, quando aveva sostituito il marchio precedente. Io me ne sono reso conto solo qualche giorno fa, mentre, per un amico, mi accingevo a consultare l’I Ching (il Libro delle Mutazioni, uno dei testi sapienziali più antichi e importanti, strumento di divinazione che in Cina condiziona ancora oggi le decisioni più importanti). Ebbene, il logo di TIM è identico a uno degli otto simboli (trigrammi) fondamentali dell’I Ching: per la precisione, Kènn, la Montagna. È costituito da due linee spezzate sovrapposte (_ _, simbolo dello yin: oscuro, femminile, basso, ecc.), sormontate da una linea intera (___, yang: luminoso, alto, maschile, …).

Non è chiaro se gli autori di questa operazione siano stati, implicitamente o esplicitamente, influenzati in qualche misura da questa esotica ispirazione. Sta di fatto che la Montagna, nel contesto dell’I Ching, è descritta da un titolo pesante come una pietra: “l’Arresto”. Certo, non si tratta del termine giudiziario che ha funestato la vita di altre aziende. Ma non è neanche così privo di insidie. Secondo una delle varie traduzioni in circolazione, il trigramma è così descritto: limite, confine, ostacolo; fermarsi, restare immobile […] Ideogramma: occhio e persona che si volta a guardare indietro. Non il massimo per un’organizzazione che da tempo prova a rilanciarsi dopo anni di stasi, quando non di triste declino. A consolazione dei carissimi amici di TIM, con cui abbiamo condiviso tante giornate di lavoro comune, va detto che le interpretazioni dell’I Ching possono cambiare, e persino rovesciare il significato iniziale, in virtù degli altri trigrammi con cui si legano, e della natura dinamica del sistema (in fondo, di Libro dei Mutamenti si tratta). Nel dubbio, comunque, al posto di chi ha fatto la scelta, proprio non mi sarei preso la briga di scherzare con questo genere di cose.

 

Che i nomi delle persone indirizzino in una qualche misura i loro destini è un’idea che ha attraversato tutta la storia umana

Ricordiamo il nomen omen dei latini. Curiosamente, ne troviamo una traccia nel lavoro di Carl Gustav Jung (uno che di I Ching ci capiva). Il quale, nel 1952, osservava “una talvolta grottesca coincidenza tra il nome di una persona e le sue caratteristiche”. I riferimenti cui rimandava erano puramente aneddotici. Ma che aneddoti! Niente di meno che la triade dei grandi psicanalisti del ‘900. Sigmund Freud (il cui cognome significa “gioia”), guarda caso, era diventato celebre per aver sostenuto il principio del “piacere”. Alfred Adler (nome che significa “aquila”) aveva sviluppato un “principio di potere”, mentre lui stesso, Jung (“giovane”), era da sempre ossessionato dai concetti di gioventù, invecchiamento e rinascita.

In tempi di Internet, e di grandi database anagrafici, non possono mancare esempi recenti di queste curiose coincidenze tra cognomi (o nomi di persona) e mestieri. È noto che in un lontano passato molti cognomi abbiano tratto origine dalle rispettive condizioni professionali (Ferrari, Cardinali, Caprara, ecc.). Meno conosciuta è l’idea che essi possano diventare potenti attrattori intorno ai quali i loro portatori finiscono col gravitare: Mark de Man (calciatore belga); Anna Smashova (tennista); lord Brain, che nel 1923 ha sostituito alla guida di Brain, rivista di neurologia, un già sufficientemente appropriato Sir Henry Head; il giudice inglese Igor Judge. Ma abbiamo naturalmente anche aptonimi (così vengono chiamati) nostrani. Nel 2020 Adnkronos riportava che, tra gli iscritti agli ordini dei medici provinciali, troviamo ben 9 dr. Dottore – sì, fanno Dottore di cognome -, 5 dr. Medico, e ben 11 dottori Malato o Malattia.

 

Determinismo a partire dal nome?

Qualcuno ha proposto di chiamare questo presunto fenomeno determinismo nominativo. Il termine è un po’ forte, perché richiama un vero e proprio meccanismo causale; altri preferiscono definirlo surname-occupation matching. In ogni caso, le evidenze non sono, a quanto pare, puramente aneddotiche. Lo psicologo sociale Brett Pelham, insieme a due colleghi, ha analizzato diverse fonti massive di dati anagrafici statunitensi, trovando correlazioni inattese su questa falsariga (ad esempio, Dennis e Walter sono nomi altrettanto frequenti, ma i Dennis che fanno i dentisti sono il doppio dei Walter).

 

Causalità o casualità

Non tutti gli studiosi accettano questi risultati come indicativi di un meccanismo causale. Tuttavia altri risultati di Pelham sembrano molto più robusti, e indicano che i nomi (e non solo) che ci appartengono hanno effetti silenziosi ma importanti su di noi (e a nostra insaputa). Eccone qualcuno

  • Le persone (siamo in USA, ricordo) si trasferiscono più facilmente in Stati dal nome simile al proprio (le Louise, che vanno a vivere in Louisiana, i Ken che scelgono il Kentucky o i George che si spostano in Georgia sono molti di più di quanto la pura casualità suggerirebbe). È il cosiddetto name-residence effect.
  • Allo stesso fenomeno si fa riferimento quando si consideri che le persone sposano più spesso coniugi dai nomi simili al proprio. A parità di altre condizioni, se Eric, Erica, Charles e Charlotte si incontrano, è più probabile che Erica si innamori di Eric che non di Charles.
  • Se pensate che questi fenomeni si attivino solo su somiglianze tra aggregati ordinati di lettere (somiglianze tra nomi), sappiate che l’effetto è molto più generale. Gente di ogni nazionalità ed età tende a preferire le lettere che costituiscono il loro nome, e in misura particolare le loro iniziali. Viene chiamato name-letter effect, e risulta essere particolarmente affidabile sotto il profilo statistico, e la preferenza sembra estendersi negli acquisti di impulso verso le marche che iniziano come i nostri nomi.
  • E i numeri dove li mettiamo? Se sono quelli del nostro compleanno, potete scommettere che godano dello stesso statusdelle lettere del nostro nome. Le località contenenti un numero (Three Forks, Montana; Two Harbors, Minnesota) attraggono persone che hanno quel numero nella data di nascita (2 febbraio, 3 agosto, ecc.). Anche questo fenomeno ha un nome: birth date-number effect.

 

L’egoismo implicito  dietro le quinte

Se tutto ciò è vero, qual è la ragione per cui siamo tutti soggetti a queste bizzarre preferenze – che peraltro operano dietro le quinte, al di fuori della nostra consapevolezza (come potremmo mai ammettere di essere così facilmente influenzabili)?

Ci sono due motivi. Uno è un po’ tecnico: ha a che fare con le modalità di processamento dell’informazione da parte dei nostri cervelli, e spiega altri curiosi fenomeni, tra cui, ad esempio, interessanti effetti riguardanti lo stock exchange. Ne parleremo in un’altra occasione.

Ma la ragione più immediata da comprendere, e che genera maggiore interesse di questi tempi, è un fenomeno che prende il nome di implicit egotism (egoismo implicito). Si tratta di una tendenza spontanea ad amare le cose che associamo a noi stessi. In particolare, ci piace ciò che ci è familiare, incluse le nostre facce (sappiamo di avere una chiara preferenza per gli sconosciuti che ci assomigliano fisicamente, politici inclusi). Se vi sembra privo di senso, ricordate che, nei contesti primitivi in cui ci siamo evoluti, incontrare una persona del proprio clan o uno straniero poteva rivelarsi una questione di vita o di morte. E la somiglianza facciale è, da sempre, uno degli indizi di parentela disponibili. Un individuo che potesse passare alla progenie una preferenza automatica per le persone più somiglianti regalava loro maggiori probabilità di sopravvivenza.

Gli effetti che abbiamo visto possono essere compresi come estensioni di questo meccanismo centrale per la nostra evoluzione, e sono solo una parte della miriade di fattori che influenzano i nostri comportamenti. Alcuni di essi sono noti da tempo a coloro che, da sempre, prosperano condizionando preferenze e comportamenti delle altre persone. Ma molti altri – inclusi, a mio parere, quelli di cui abbiamo or ora parlato – sono ancora praterie semi-esplorate, e deve ancora partire in pompa magna l’escalation tra un marketing che tenterà certamente di incorporarli, e un mondo di consumatori che dovrà imparare a difendersene.

Almeno spero.

Abbiamo scelto questa immagine di Bellagio per introdurre il testo. Perché conferma in due modi la tesi di Augusto Carena:

  • il nome Bellagio è un bel biglietto di presentazione per questa bella località
  • il tono tranquillo della scena si presta a sottolineare che “dietro” possono celarsi significati di cui non siamo consapevoli.

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Di Augusto Carena

Augusto Carena, ingegnere nucleare, si occupa di Simulazioni di Business, Systems Thinking, Decision Making complesso, e bias cognitivi nelle organizzazioni. Su questi temi svolge da trent’anni attività di formazione manageriale in Italia e all’estero. Con Giulio Sapelli lavora sulle culture d’impresa in progetti di etnografia organizzativa. Ha pubblicato con Antonio Mastrogiorgio La trappola del comandante (2012), sui bias nelle organizzazioni, e Dialoghi Inattuali. Sull’Etica