No, non è quel Matteo padano che da anni inflaziona implacabilmente i nostri schermi. E neanche quello toscano che, dal governo o dall’opposizione, continua inesorabile a far mostra di sé.

tempo di lettura 8′

Il vantaggio di chi/cosa è partito in vantaggio.

Se, invece, avete percepito nel titolo un che di spirituale – o di musicale, per gli appassionati di Bach – fuochino: siete sulla buona strada. Parliamo infatti di San Matteo, evangelista. Che sicuramente gode tuttora di fama universale indiscussa. Ma non è per questo che lo tiriamo in ballo. Piuttosto, per una singola frase, scritta nel suo Vangelo, che per molti secoli non ha goduto esattamente di una buona stampa:

Perché a chi ha sarà dato, e sarà nell’abbondanza, e a chi non ha sarà tolto anche quello che ha” (Matteo, 25:29).

Il versetto segue la celebre “parabola dei talenti” (il servo buono e fedele li investe per moltiplicarli; quello malvagio e infingardo li sotterra), che metaforicamente si riferisce alla disponibilità all’ascolto della parola di Dio, in grado di condurre, in un circolo virtuoso, a una sempre maggiore capacità di amore e apertura verso il prossimo.

Il feedback positivo, e la profezia che si autoavvera

La metafora, tuttavia, può essere agevolmente estesa a numerose altre dinamiche della vita reale. La sua struttura, infatti, descrive il comportamento, ben noto nelle Teorie dei Sistemi, dei feedback positivi: situazioni in cui le variazioni di un fenomeno – incrementi o decrementi – si muovono in proporzione al suo valore assoluto. Portando così a dinamiche di crescita esponenziale o di rapido collasso. E, ancor più da vicino, rappresenta fenomeni ben conosciuti sui mercati (winner takes all), che rispondono alla cosiddetta legge di potenza (power law). Pochi player si aggiudicano la parte del leone della domanda, mentre ai molti altri competitor  rimangono le briciole. Una dinamica poco intuitiva per noi umani che tendiamo a linearizzare i rapporti causa/effetto, ma che compare magicamente nei fenomeni più diversi, dal mercato musicale ai terremoti.

E Matteo?

Si parte da lontano, ma non troppo. Nel 1968 il celebre sociologo Robert K. Merton –un personaggio già noto agli appassionati di pregevoli bizzarrie per aver coniato l’espressione “profezie che si autoavverano”, e scritto il primo dotto volume sulla “serendipity”– si sta occupando di una questione apparentemente molto esclusiva: il riconoscimento dei premi Nobel. In diverse occasioni il premio viene assegnato per scoperte cui hanno partecipato anche altri scienziati, o che sono state raggiunte in modo indipendente anche da altri studiosi. Ebbene, in questi casi si tende ad attribuire prevalentemente il merito a coloro che hanno vinto il Nobel, a discapito di coloro che, come dice Merton, “non hanno ancora lasciato il segno”. Come dire che coloro che hanno già una certa rinomanza (dovuta al premio) finiscono con l’accumulare meriti maggiori di coloro che non hanno questo vantaggio iniziale.

Il vantaggio cumulativo

Vantaggio che Merton chiama “vantaggio cumulativo”; e che, dovunque operi, “produce lo stesso risultato: il ricco diventa più ricco a un ritmo che rende il povero relativamente più povero”. Un vantaggio iniziale tende ad ampliarsi nel tempo. È ciò che l’autore chiama “effetto Matteo”, per l’appunto, lasciando intendere che la sua diffusione sia assai più pervasiva di quanto suggerirebbe l’ambito originario dello studio. In effetti, molte storie di fama e successo (o di fallimento) seguono uno schema simile. Lascio al lettore il gusto di catturare questa dinamica in azione nella storia, nel business, o nella vita quotidiana.

Anche a questo livello base di descrizione, possiamo formulare qualche osservazione

  1. Nei fenomeni che seguono questa dinamica, uno sconosciuto è condannato a non poter scalare i primi posti? No di certo; ma chi possiede un vantaggio iniziale è in una posizione sicuramente migliore per distanziare gli altri.
  2. Quando l’effetto Matteo è all’opera, la qualità passa in secondo piano. Non che sia priva di un ruolo: se non oltrepassa una certa soglia, lo schema non regge (anche se abbiamo sotto gli occhi diverse eccezioni, a partire dalla politica). Ma non domina il fenomeno. Ha, in un certo senso, un’efficacia di secondo ordine. Ne segue che, ai nostri occhi, l’effetto Matteo porta spesso con sé una certa qual ingiustizia di fondo, dove non sempre trionfa il merito.
  3. Per quanto Merton abbia formulato la sua tesi in un’epoca in cui le comunicazioni di massa stavano cominciando a muovere i primi passi, non poteva probabilmente immaginare tutto ciò che stiamo vivendo oggi (da Internet ai social network). Che ha certamente elevato a potenza la rapidità e la scala dell’effetto (oggi magari avrebbe esemplificato con il mercato dei giochi online o degli influencer). Siamo ufficialmente nell’era di Matteo.

Ciò detto, l’effetto Matteo non ha bisogno dei social network  per dispiegare la sua influenza. Internet è solo un acceleratore, ma il meccanismo di base è vecchio quanto il mondo. Cass R. Sunstein, nel suo “How to Become Famous: Lost Einsteins, Forgotten Superstars, and How the Beatles Came to Be” del 2024, lo individua in quelle che vengono chiamate cascate informative.

Conformarsi al gruppo

L’idea di fondo, che ho trattato in un precedente articolo, è che, in quanto esseri umani, siamo particolarmente attenti e influenzati da ciò che le persone intorno a noi pensano e da come agiscono. Spesso per conformarci al gruppo cui apparteniamo (e non perdere il loro apprezzamento o la loro fiducia – una sorta di pressione sociale). Altre volte perché, in presenza di incertezza, o di preferenze vaghe o indifferenziate, affidarsi al giudizio del gruppo può rivelarsi una strategia soddisfacente. Quando questa influenza si propaga lungo una catena di contatti da una persona all’altra, si trasforma in un fenomeno di polarizzazione dell’intera filiera che chiamiamo cascata informativa.

Per darvi un’idea del processo, adattiamo un esempio di Sunstein (che nella versione originale chiamava brillantemente in causa i quattro Beatles del titolo).

Conformarsi al gruppo e cascata informativa

In una riunione di lavoro dovete approvare uno solo dei progetti che vi sono stati presentati. Nella sala siete in sette, tutti di pari livello. Ciascuno, a turno, deve esprimere la propria preferenza. Assumiamo, infine, che non ci siano particolari giochi di potere, e che quindi ognuno ascolti attentamente i giudizi dei colleghi.

Antonella, la prima a parlare, si esprime a favore del Progetto 1. Che abbia una reale preferenza, o che scelga a caso perché non può passare il turno, assegna il suo voto. Bruno, il secondo, potrebbe condividere l’opinione di Antonella, nel qual caso il progetto 1 avrebbe già due voti a favore. Oppure potrebbe non avere una preferenza spiccata tra le alternative. Un progetto, a quanto ne sa, vale l’altro. Però stima Antonella, e può facilmente immaginare che la sua scelta non sia immotivata. Si fida del suo giudizio, e vota anche lui per il Progetto 1. Ora è il turno di Carlo, che invece ha ricevuto da terzi informazioni che lo portano a nutrire qualche dubbio sul progetto. Cosa farà? Si allineerà, o deciderà di esprimersi a favore del Progetto 2? Potrebbe non sentirsi a suo agio uscendo dal coro. O più semplicemente potrebbe pensare che, visto che tutt’e due i predecessori sostengono il Progetto 1, siano in possesso di informazioni a favore più affidabili delle voci che gli sono pervenute. Se dunque non ritiene di poter mostrare ragioni veramente inoppugnabili, potrebbe decidere di adeguarsi. Progetto 1, 3 voti – resto del mondo, 0.

Il meccanismo ora è chiaro. Con una massa critica di quasi metà dei votanti, è abbastanza probabile che anche gli altri partecipanti, se non hanno ragioni più che ottime per opporsi, o non hanno voglia di passare per rompiscatole, si aggiungeranno nel sostenere il progetto iniziale. È nata una cascata informativa.

Questo modello è chiaramente una semplificazione schematica dei fenomeni reali. Nei quali fama e successo sono fortemente condizionati da innumerevoli altri fattori, dalle strategie di marketing alle community, a una miriade di sliding door. Non proprio una coincidenza per uno come Merton, abituato a ragionare sulla serendipity. Ciononostante, possiamo tentare un paio di conclusioni.

L’impatto sulle nostre decisioni

Cosa sarebbe successo se Antonella avesse avuto una preferenza per il Progetto 2? O se il primo a prendere la parola fosse stato Carlo? Non si tratta di un processo deterministico, ma non ci stupiremmo se alla fine il progetto approvato fosse il Progetto 2. Certo, se quest’ultimo si fosse presentato come una catastrofe annunciata, la cascata si sarebbe probabilmente arrestata. Ma, nella misura in cui le varie opzioni siano tutte parimenti fattibili, una cascata informativa contiene un importante fattore di arbitrarietà nei suoi risultati, legata all’arbitrarietà delle condizioni iniziali. Ma anche all’arbitrarietà delle condizioni in ciascuno dei momenti successivi, almeno fin quando il fenomeno ha raggiunto la massa critica per procedere da solo sotto la spinta del feedback positivo, dopo di che il vantaggio diventa incolmabile.

La storia conta. Anche per quelle infinite alternative che avrebbero potuto avere successo, ma non ci sono mai arrivate

Poiché la storia conta, è probabilmente impossibile prevedere quali degli oggetti allineati sulla linea di partenza avranno successo, come può raccontarvi qualsiasi produttore musicale o cinematografico. Un buon marketing, e una profonda conoscenza dei social network possono aiutare, ma non sono una garanzia. Così come alcune cascate si possono rivelare soltanto fiammate effimere.

La storia conta. Anche quando parliamo della nostra capacità di giudizio

  1. Quando siamo noi a trovarci dentro una cascata informativa, la nostra autonomia di giudizio può essere sotto scacco. Una canzone, un film ai primi posti delle classifiche ci dicono solo che molte persone sono nella stessa cascata informativa, e quindi hanno scaricato o visto l’oggetto della cascata, ma non che li abbiano apprezzati. Ciononostante, i numeri pesano. Specialmente se sono grandi. E più sono grandi, più siamo indotti a percepire in modo sfumato questa distinzione, e a confondere un indice di ascolto con un indice di gradimento, per usare un gergo della vecchia televisione abilmente oscurato dalla nuova. Tendiamo a considerare le cascate come più informative di quanto non siano nella realtà.
  2. L’autonomia del nostro giudizio è minata anche da uno dei bias cognitivi più sperimentalmente robusti: il mere exposure effect. Tendiamo a sviluppare un apprezzamento o una simpatia (o, al contrario un’antipatia) nei confronti di ciò con cui siamo familiari (o che non conosciamo). E la familiarità, attraverso la ripetuta presenza nella finestra della nostra attenzione, è uno dei sottoprodotti inevitabili della fama.

La storia conta. Anche quando la capacità di giudizio si applica a temi di fondo

Quando il nostro giudizio riguarda non un banale prodotto della società dello spettacolo, ma un’idea politica, un dilemma morale, un principio di vita, siamo così sicuri che le cascate informative non abbiano alcun effetto sulle nostre convinzioni? C’è chi sospetta la loro influenza persino in fenomeni importanti come il #me Too, o addirittura la diffusione del Cristianesimo (sempre a proposito di Matteo…).

Buone cascate a tutti

creative-common

Di Augusto Carena

Augusto Carena, ingegnere nucleare, si occupa di Simulazioni di Business, Systems Thinking, Decision Making complesso, e bias cognitivi nelle organizzazioni. Su questi temi svolge da trent’anni attività di formazione manageriale in Italia e all’estero. Con Giulio Sapelli lavora sulle culture d’impresa in progetti di etnografia organizzativa. Ha pubblicato con Antonio Mastrogiorgio La trappola del comandante (2012), sui bias nelle organizzazioni, e Dialoghi Inattuali. Sull’Etica