Il talento è spesso percepito come un dono innato, una qualità speciale che distingue alcuni individui dagli altri e che ha permesso loro di raggiungere il successo. Ma è davvero così? 

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Giorgio stava guardando la replica della finale del torneo di Wimbledon del 2007, trasmessa da un canale televisivo specializzato. La partita veniva ancora ricordata come una finale superba, una delle migliori della storia del tennis. 

Roger Federer aveva emulato Björn Borg vincendo il quinto titolo consecutivo a Wimbledon, ma Rafael Nadal gli aveva provocato un grande spavento, insidiandolo con il suo gioco potente e preciso. Tanto che l’allora numero uno al mondo aveva alla fine prevalso dopo tre ore e 45 minuti di tennis mozzafiato, con il punteggio di 7-6  4-6  7-6  2-6  6-2. 

Federer dava l’impressione di avere il controllo del match una volta portatosi in vantaggio di due set a uno, ma l’instancabile Nadal si era fatto sotto recuperando lo svantaggio e pareggiando le sorti del match prima del decisivo quinto set. 

A quel punto la lotta tra i due contendenti si era fatta serrata, tanto che Federer era stato costretto a salvare quattro palle break, annullando l’ultima con un superbo dritto lungo linea per poi portarsi in vantaggio per 4-2, prima di sigillare un’epica vittoria (per chi non ha familiarità con i punteggi nel tennis, vedi nota in fondo).

 

Tra i due, il modello di riferimento di Giorgio era Federer, tanto da considerarlo un maestro per la perfezione del suo gesto atletico, in uno sport che veniva descritto dagli addetti ai lavori come “il gioco della mente e del corpo”. 

In questo sport infatti la tecnica esecutiva costituisce la parte terminale di un ampio processo motorio che a sua volta è subordinato a quello mentale, nel quale entra in gioco anche lo stato emotivo dei protagonisti. 

Di fronte a un tale spettacolo, il commentatore dell’evento televisivo aveva sottolineato più volte che tutto ciò che Giorgio stava vedendo era frutto del talento dei due contendenti che aveva permesso loro una performance così elevata. 

Anche per Giorgio la bravura dei due era indiscussa. Infatti egli stesso praticava il tennis a livello amatoriale e ne conosceva tutte le difficoltà, ma secondo lui il commento del telecronista era inesatto. Non era il talento che aveva permesso la performance, ma era la performance che aveva permesso il manifestarsi del talento. 

Giorgio era infatti consapevole che per primeggiare in questa disciplina sportiva il solo “talento naturale” non sarebbe stato sufficiente per potersi esprimere al meglio delle proprie potenzialità e per raggiungere i propri obiettivi. Soprattutto se si fosse trascurato il lavoro e l’impegno continuo per attivarlo, allenarlo e svilupparlo nel tempo. 

Roger Federer: «Il successo senza sforzo non esiste» 

Lo stesso Federer aveva chiarito questo punto in occasione del conseguimento della laurea ad honorem in Lettere Umanistiche, conferitagli l’11 Giugno 2024 dall’Università di Dartmouth, prestigioso ateneo del New Hampshire (USA). 

Federer si era rivolto agli studenti parlando delle lezioni che aveva imparato praticando l’attività tennistica a livello professionistico. Una di queste riguardava la fatica e gli sforzi che aveva fatto per raggiungere il successo e quindi dar corpo al suo talento innato. 

Di fatto, il suo stile di gioco era sempre stato descritto come effortless, senza apparente sforzo. Ma il campione svizzero aveva spiegato che questo stato delle cose era in realtà solo un mito. Ecco le sue parole. 

«Ho avuto questa reputazione perché quando tutti mi vedevano scaldare ai tornei in maniera così superficiale, essi credevano non mi allenassi duramente. Ma era prima dei tornei, quando nessuno mi vedeva, che mi allenavo». 

E ancora: «Ho passato anni a lamentarmi, a imprecare, a lanciare la racchetta, prima di imparare a mantenere il controllo. Il successo senza sforzo non esiste. Non sono arrivato dove sono arrivato solo con il talento puro. Ci sono arrivato cercando di superare i miei avversari, lavorando più di essi. Ho creduto in me stesso». 

«Ovvio sì, il talento conta. Non starò qui a dirvi che non è così. Ma il talento ha una definizione ampia. Nella maggior parte dei casi non si tratta di avere il dono (“the gift” in inglese), bensì si tratta di metterci grinta (“the grit” in inglese) e coraggio. 

Nel tennis… come nella vita… anche la disciplina è un talento. E così lo è possedere pazienza. Avere fiducia in sé stessi è un talento, abbracciare ed amare il processo (evolutivo) sono talenti. Gestire la propria vita, gestire sé stessi… anche questi possono essere talenti». 

In sintesi il discorso di Roger Federer riguardante l’essenza del talento poteva riassumersi nei seguenti punti: 

  1. È veramente riduttivo limitarsi a correlare i successi ottenuti con una predisposizione naturale, senza considerare l’immenso lavoro che sottostà e determina i risultati eccezionali. Di fatto, la manifestazione del talento in una qualsiasi attività umana è da considerarsi una conquista, frutto cioè di un percorso che inizia da una passione che si sceglie di coltivare. Conquista che si raggiunge attraverso impegno, costanza e coraggio. Occorre quindi “The Grit” per manifestare “The Gift”. In caso contrario “il dono”, cioè il talento innato, resterebbe purtroppo non valorizzato. Sotto questo aspetto il talento ha a che fare con la motivazione, vale a dire lo stimolo utile ad attivare l’energia necessaria per sviluppare l’azione che porta a raggiugere gli obiettivi prefissati. Il talento non è privilegio di poche persone geniali e oltre la media. Ognuno possiede una o più attitudini che lo rendono unico e irripetibile, ma non sempre ne è consapevole e per questa ragione non le utilizza e valorizza al meglio.
  2. Il concetto di talento va ben oltre il successo acquisito in una attività specifica (ad esempio tennistica), essendo un mix di qualità che include oltre a quelle cognitive e culturali anche competenze intellettuali, emotive e relazionali. È l’armonia tra mente, corpo ed emozioni che genera persone integrate. D’altronde non si può essere davvero brillanti se si è fragili dal punto di vista emotivo.

Le basi per lo sviluppo del talento 

A Giorgio venne anche da riflettere su quali basi potesse fondarsi l’attribuzione ad una persona dell’appellativo di “talento”. 

Aveva capito che il talento di una persona è riscontrabile osservando il comportamento, le azioni e i risultati ottenuti dalla stessa, riconducibili alla presenza non soltanto di competenze che si applicano a mansioni e compiti specifici, ma anche a passione (o auto-motivazione o, anche, motivazione intrinseca) e volontà di fare. 

Queste caratteristiche individuali sono poi influenzate dal contesto operativo (*), riferito a un preciso spazio temporale. 

In campo lavorativo, una/un professionista si può quindi definire un talento quando a competenze tecniche superiori aggiunge le seguenti caratteristiche: 

  • un atteggiamento  condizionato dalla voglia di migliorare e di portare soluzioni ai problemi; 
  • una passione/motivazione  che la/lo spinge a prendere decisioni e accettare sfide; 
  • una capacità di lavorare in gruppo  che la/lo portano ad avere un impatto positivo sull’organizzazione e sull’ambiente di lavoro e ad essere più efficace di altri in una specifica mansione, dimostrandolo in contesti differenti. 

In particolare, con riferimento alla passione, egli sapeva che essa rappresenta la spinta continua a coltivare le proprie capacità, a spostare i propri limiti in avanti. Una tensione gratificante di per sé, che non richiede quindi ricompense esterne. Senza questo tipo di motivazione nessuno sarebbe in grado di allenarsi per anni come Federer aveva fatto, allo scopo di coronare il suo sogno, oppure di lavorare con assiduità e resilienza, come altre persone avevano fatto, per compiere ad esempio una scoperta scientifica, creare un capolavoro o fondare una azienda propria. 

L’importanza del contesto per la fioritura del talento 

Nel caso di Federer, ad esempio, egli aveva preso in mano racchetta per la prima volta a 4 anni e a 14 anni aveva cominciato a frequentare il Centro Tecnico Nazionale della Federazione Svizzera per dedicarsi interamente alla sua passione. 

In questo contesto aveva mosso i primi passi della sua carriera, iniziando un percorso di apprendimento e di crescita che lo aveva portato ad alimentare quell’energia vitale  indispensabile per affrontare la fatica quotidiana dell’allenamento intenzionale, la eventuale delusione per gli errori e fallimenti, nonché la tensione all’auto-superamento per tendere a risultati sempre più elevati. 

Federer aveva avuto la fortuna di avere sin dall’inizio accanto a sé i genitori, dei professionisti di valore (non solo in campo sportivo), e la federazione tennistica. Tutte entità che lo avevano sostenuto non solo economicamente, ma anche aiutato ad aprire la mente e provare ad andare fino in fondo alla strada che aveva imboccato. 

 

Giorgio si convinse quindi che ogni competenza, ogni talento, posseduti da una persona avessero bisogno di un contesto adatto  a farli esprimere e interagire in modo armonico con la struttura organizzativa (nazione, azienda, reparto, team, circolo, famiglia …) di appartenenza. 

Ciò generalmente accade quando inclusività, comunicazione  e feedback   sono le caratteristiche del contesto in cui una persona esercita le proprie attività. Più in dettaglio: 

  • Inclusività, intesa come collegialità, coinvolgimento e valorizzazione dell’individualità di ciascuno. Essa presuppone la creazione di un ambiente in cui ogni individuo, indipendentemente dal genere, dall’abilità o dal background culturale, non solo è benvenuto, ma si sente anche valorizzato e capace di contribuire pienamente al raggiungimento degli obiettivi personali e di gruppo. 
  • Comunicazione efficace, che in un team consente di condividere le idee, di comprendere le esigenze e le aspirazioni di tutti i componenti, in modo da farli sentire più sicuri e fiduciosi delle loro capacità. È inoltre utile a creare un rapporto che favorisca la fiducia, il rispetto e l’empatia tra le persone coinvolte.
  • Feedback, uno degli aspetti fondamentali per la comunicazione in un team/organizzazione. È essenziale che venga fornito regolarmente e in modo costruttivo così da tenere alto il morale e a rafforzare i comportamenti positivi di coloro che ne fanno parte. Questi ultimi si sentiranno apprezzati, supportati e motivati ad eccellere nei loro ruoli, tra l’altro con il vantaggio di ottenere una maggiore fidelizzazione degli stessi. 

Con riferimento al contesto, Tyler Cowen, economista e co-autore del best seller “Talento. Come scovare le persone vincenti, creative e piene di energia positiva”, edito da Egea nel 2022, così afferma: «… per sviluppare al meglio il proprio talento è necessario trovarsi negli ambienti giusti e con le persone giuste. Di fatto, è il contesto in cui si nasce o si cresce a determinare chi si è e cosa si fa e la fioritura del talento passa anche dalla capacità di entrare in relazione con gli altri». 

Un artista, ad esempio, può sviluppare il proprio talento collaborando con altri artisti, oppure può migliorare le proprie tecniche attraverso l’insegnamento a studenti. 

Come identificare e sviluppare il talento 

In una qualsiasi organizzazione il riconoscimento precoce del talento di un individuo è fondamentale, in quanto consente di allocare le risorse in modo strategico, creare linee guida per l’apprendimento e lo sviluppo, nonché fornire un ambiente ideale a supporto della crescita. 

Quindi, la prima cosa da fare per riconoscere e sviluppare il talento è concentrarsi sull’osservazione delle performance, al fine di identificare punti di forza unici e individuare così gli individui ad alto potenziale. 

Nella fase di sviluppo di talenti risultano poi importanti le attività di mentoring e coaching. Questi approcci non solo aiutano gli individui  ad affinare le proprie competenze, ma forniscono loro anche spazio e guida affinché essi possano concentrarsi totalmente sul loro sviluppo personale e professionale, facendoli nel contempo sentire apprezzati e compresi nei loro ruoli. 

 

Conclusione 

Federer, così come tutte le grandi leggende della storia, ha rappresentato uno straordinario amalgama di talento, disciplina costante e volontà ferrea. 

In particolare, questi ultimi due ingredienti sono stati importanti per il suo sviluppo personale in quanto gli hanno permesso di continuare a perseverare nella sua strada verso l’eccellenza anche quando non vedeva in un primo momento i risultati dei suoi sforzi e del suo impegno. 

È bene poi sottolineare che alla base della disciplina e della costanza vi è la forza di volontà, che rappresenta la facoltà di scegliere e di mettere in atto con determinazione un comportamento idoneo al raggiungimento di fini determinati. 

A volte però può capitare che una persona possieda un talento (o anche più di uno), senza però avere mai avuto la possibilità/volontà di sviluppare le competenze necessarie per esprimerlo appieno nel suo quotidiano. 

Ciò potrebbe essere ricondotto alla mancanza di opportunità e risorse nel campo operativo specifico, oppure alla impossibilità di sostenere nel tempo disciplina e allenamento costante. 

Molto più spesso, però, sono la scarsa autostima e la poca fiducia in se stesso che portano un individuo a soffocare il talento, come conseguenza dei dubbi e delle paure che esse generano. 

Poi c’è anche chi riesce a convincere il mondo di avere un talento che non ha e magari a venderlo anche a un prezzo molto elevato, come pure gente che non è in grado di riconoscere un talento nemmeno quando ce l’ha davanti. 

 

Giorgio era consapevole di tutto questo, come del fatto di avere una grande passione per il tennis, ma per vari motivi un talento limitato in questo ambito a causa di fattori esterni e personali. Questa convinzione gli derivava anche dal confronto con gli altri giocatori che praticavano questo sport nel circolo da lui frequentato. 

Certo, secondo lui bisognava sempre credere ai sogni, ma era giunto alla conclusione che fosse necessario saperli validare in maniera oggettiva, con persone serie e competenti in grado di dire la verità riguardo a ciò che si è/si potrebbe diventare e ciò che si fa/si potrebbe compiere. 

Sotto questo aspetto il talento poteva essere visto come una qualità oggettiva in quanto osservabile e misurabile (**), anche se influenzata da fattori soggettivi come l’apprendimento, l’allenamento, la cultura, le relazioni. 

Tornando a Giorgio, egli aveva sempre cercato di dare il meglio di sé in tutte le sue attività (fossero esse lavoro, studi, hobby o relazioni) alla continua ricerca di miglioramento e con la volontà di affrontare le sfide con impegno e determinazione. 

In particolare, nella pratica del tennis si era impegnato ad allenare mente e corpo nel tempo libero dagli impegni di lavoro e di famiglia e con il passare del tempo aveva acquisito una maggiore consapevolezza delle proprie capacità e limiti, nonché delle proprie motivazioni. 

Per questo motivo era fiero di quello che aveva ottenuto fino a quel momento nello sport e nella vita e, cosa molto importante, poteva guardarsi indietro senza rimpianti. 

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(*) Contesto operativo: vale a dire l’ambito sociale, culturale, economico, in cui è inserita una persona e nel quale essa può trovare le risorse fisiche e non, necessarie all’evoluzione del suo talento. 

(**) Talento misurabile: riferito ad esempio a test che valutano capacità specifiche, come la velocità di calcolo, la capacità di memoria, o la destrezza in determinate attività. Questi test possono fornire un punteggio numerico per misurare il livello di talento in una data area. 

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Una partita di tennis è composta da puntigame e set. Un set è composto da un numero di game (un minimo di sei), che a loro volta sono composti da punti. Il primo giocatore a conquistare 6 game vince il set, con un margine di almeno 2 game sull’avversario (es. 6–4 o 7–5). Se il set è in parità e si sono raggiunti 6 game ciascuno, di solito viene giocato uno spareggio (tie-break) per decidere il set. Per vincere una partita un giocatore o una squadra devono vincere la maggior parte dei set. Le partite utilizzano il formato al meglio delle tre (vincere due set) o al meglio delle cinque (vincere tre set).

Si usa il termine “mini break” per indicare un punto ottenuto durante un tie-break su servizio dell’avversario e il temine “break” quando si conquista un game su servizio dell’avversario”.

Coloro che ne volessero saperne di più possono consultare la voce “Tennis” di Wikipedia che riporta la storia di questo sport e le regole in dettaglio.

 

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Di Vessillo Gianni Valentinis

Laureato in Ingegneria al Politecnico di Milano, ha percorso la sua carriera nell’ambito di società multinazionali, ricoprendo vari ruoli dirigenziali e acquisendo una profonda conoscenza delle necessità del business, del suo sviluppo e della gestione d'impresa. I suoi attuali interessi sono rivolti allo sviluppo individuale e organizzativo e alle dinamiche di innovazione nelle organizzazioni, temi su cui ha svolto attività di consulenza e docenza. Ha pubblicato “Alla ricerca dell’eccellenza comportamentale” con A. Mandruzzato, Ed. Franco Angeli, 2014; “La strada per l’eccellenza” con A. Mandruzzato, Ed. Etabeta, 2022.