Quello che fa concretamente un coach è parlare/ascoltare inducendo il coachee a vedere le cose diversamente da prima, e soprattutto a fare cose che finora non ha fatto.

Il passaggio obbligato per il cambiamento, come per qualsiasi riorganizzazione, è una lista di cose da fare. E qui nascono i problemi, come sa chiunque ci abbia provato.

 

Le liste sono spesso impossibili e inarrivabili. Non a caso il coach aiuta a costruirne di fattibili. Ma anche quando sono fattibili, nella migliore delle ipotesi sono noiose.

Nella maggior parte dei casi una lista rimane solo wishful thinking, né sogno né obiettivo, né piano d’azione né punto di riferimento. Finisce in niente, se non si adotta qualche trucco!

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Ed ecco il trucco.

  1. Elencare tutto, ma proprio tutto quello che si dovrebbe fare. Le cose rimandate, quelle che non si sono fatte per mancanza di tempo, quelle che fanno gli altri e si vorrebbero fare, quelle noiose e quelle stimolanti, quelle che ci chiedono gli altri; quelle che piacerebbero al capo, quelle che suggerisce il marito, quelle che ha fatto l’amica si successo, ecc.
  2. Per ogni punto della lista precedente trovare chi può fare al vostro posto, che cosa si può cancellare perché è irrilevante, che cosa non è più attuale, che cosa è delegabile, che cosa è totalmente irrealizzabile
  3. Rimane un elenco di cose che sono in parte noiose e in parte rimandabili; perché quelle interessanti e divertenti sono già state fatte…

Queste sono le cose che davvero vanno fatte. Per riuscirvi, occorre cambiare loro la polarità emotiva.

 

Come coach, dobbiamo trovare questo elemento: quello che che motiverà il nostro coachee a impegnarsi. Per esempio:

  • evidenziare la valenza di contributo più alto: per un gruppo o un’altra persona specifica
  • determinare un premio per ogni tappa e dopo aver finito
  • evocare il danno che deriva dal non impegnarsi
  • pregustare la sorpresa o l’ammirazione di un gruppo o di una persona
  • trovare quell’immagine di sé che può funzionare come meta d’arrivo
  • misurare quel risparmio o quel guadagno che si sta ottenendo.

 

Ricordando, ovviamente, che la motivazione non ha un valore assoluto: a qualcuno non importa niente di migliorare gli altri, a qualcuno non interessa quantificare il guadagno, qualcuno non ritiene di dover colpire chicchessia, qualcuno non teme le conseguenze dell’andare avanti così.

Solo a questo punto, cioè con la motivazione giusta, sarà possibile passare ad un piano d’azione.

 

Due esempi pratici.

 

Mettersi a dieta. Nell’ordine suggerito, l’elemento motivante giusto potrà essere pensare alla salute del pianeta, promettersi un capo di abbigliamento nuovo, la paura di una malattia, pregustare l’impatto sul partner, la silhouette con una taglia in meno, il risparmio nel rinnovo del guardaroba.

 

Controllare più spesso i risultati. L’elemento motivante potrà essere il miglioramento dell’organizzazione nel suo insieme, una pausa da regalarsi, lo spauracchio del perdere clienti, la sorpresa del capo quando vedrà i risultati, il piacere dell’incremento di assertività, il budget.

 

Il coachee motivato non avrà difficoltà a stilare l’elenco delle azioni necessarie: perché lo sa da sempre, che cosa avrebbe dovuto fare, e quello che gli mancava erano l’assegnazione di priorità e la giusta immagine stimolante.

Di Cristina Volpi

Coach accreditata ICF e EMCC, Founder del magazine CoachingZone, Master di II livello in coaching e comunicazione Strategica. Ha operato per imprese multinazionali e familiari e not-for-profit, in Italia e in svariati paesi Europei, in USA, in Brasile, in India, lavorando con Pirelli, Studio Ambrosetti, Butera & Partners e come libera professionista; attualmente è volontaria con Sodalitas. Ha pubblicato “Leader, storie vere ed inventate di imperatori, manager e capi” Ed. Il Fenicottero; “C’era una volta il capo” Ed. Fendac; “Bilanci e Veleni” e “Banditi in Azienda” Ed. Guerini; “Sconcerto Globale” con Favero, Ziarelli Ed. Apogeo; “No Smoking Company” con Favero, Ziarelli, Ruggeri, Ed. Kowalski.