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Articolo già pubblicato con il titolo “A lifestyle called coaching” su Worldwide Coaching Magazine

La seconda metà dell’800 diventa protagonista di un importante cambio di coscienza. Scrittori come Napoleon Hill, Charles Haneel, Wallace Wattles, scoprono nell’essere umano dei potenziali esprimibili attraverso una disciplina del pensiero  che si manifesta con la capacità di visualizzare gli obiettivi come raggiunti, generando di conseguenza un’emozione coerente.

Queste teorie vengono approfondite e restituite al pubblico solo in tempi relativamente recenti, attraverso la figura di un professionista che conosciamo sotto il nome di Coach.

 

Per comprendere le dinamiche delle reticenze che attualmente ruotano attorno alla figura del coach, bisognerebbe fare riferimento alla famosa paura dell’ignoto che nel coaching viene definita con la locuzione di Comfort Zone, ovvero: restare/uscire rispetto al proprio perimetro di conoscenza.

Per capire realmente in che modo il coaching può intervenire nella vita di ognuno, è necessario accogliere l’idea del potenziale personale come qualcosa di innato, degno di essere nutrito praticando uno stile di vita coerente con i propri obiettivi e con i cambiamenti che si vogliono attuare nel breve, medio e lungo termine.

 

La capacità del cervello di modificare la propria struttura prende il nome di neuroplasticità. Questa recente scoperta comporta un sostanziale cambiamento nella percezione del ruolo delle esperienze nella vita dell’individuo. È stato infatti dimostrato come le emozioni siano in grado di modificare la nostra struttura cerebrale diventando il canale prioritario verso il cambiamento.

Nel 1970, l’allenatore di tennis Timothy Gallwey, individuò nella visualizzazione un metodo in grado di migliorare le prestazioni dei giocatori. Ma qual è il punto di connessione tra la tecnica della visualizzazione e le recenti scoperte delle neuroscienze? Visualizzare un obiettivo come già raggiunto*, crea delle emozioni capaci di modificare la percezione che abbiamo di noi stessi in relazione a ciò che vogliamo ottenere, cambiando di conseguenza la qualità delle nostre azioni.

Possiamo quindi attribuire alla figura del coach, il ruolo di precursore di teorie che oggi trovano la loro validità scientifica grazie ad innovazioni tecnologiche come la risonanza magnetica funzionale e la realtà virtuale**.

 

Emozione terapeutica e coaching

Il potere delle emozioni è stato discusso e indagato sotto il profilo scientifico, filosofico ed esperienziale. Le neuroscienze attribuiscono al cervello la capacità di modificarsi conseguentemente alle esperienze vissute segnate da emozioni forti, i vangeli gnostici evidenziano l’importanza di modificare il nostro interno  per avere un analogo riflesso all’esterno; l’esperienza, come ricerca empirica, vanta innumerevoli testimonianze che individuano nell’uomo la capacità di saper modificare la realtà attraverso un’immersione consapevole nell’immaginazione.

Tre diversi canali che giungono ad un’unica conclusione: Le emozioni contribuiscono alla creazione della nostra realtà e si possono allenare.

Ma quali sono queste emozioni?

Non esiste una risposta unica per tutti, ogni individuo dovrà riconoscere la propria attraverso le domande che il coach in quanto professionista è abilmente in grado di porre. Come riconoscere L’emozione terapeutica?

– “Come ti sentirai dopo che avrai raggiunto ciò che desideri?”

In questa domanda viene rintracciata l’emozione che la persona necessita raggiungere per iniziare ad allineare il suo stato interno alla realtà esterna. Infatti, gli obiettivi da raggiungere non sono importanti in quanto tali, ma lo sono in quanto a loro affidiamo il nostro senso di riuscita e l’emozione corrispondente.

Nella ricerca dell’emozione terapeutica, il coach accompagna il coachee nella sperimentazione di questa emozione attraverso le tecniche di visualizzazione che avranno come conseguenza un potenziamento del valore individuale espresso sia sul campo professionale che personale.

 

Conclusioni

Le vere radici del coaching risalgono alla seconda metà dell’800, quando il movimento del New Thought emerge con l’obiettivo di conferire al pensiero e alla capacità di gestire le emozioni un ruolo determinante per la riuscita dell’individuo.

Oggi sappiamo che i metodi utilizzati nel coaching contribuiscono in modo incisivo al potenziamento del valore umano.

Il coaching, prima di essere una professione, è uno stile di vita basato sul valore del pensiero disciplinato, necessario per creare una realtà in linea con i propri obiettivi. Per raggiungere un reale stato di benessere è necessario individuare l’emozione terapeutica, ovvero quell’emozione che desideriamo provare ad obiettivo raggiunto per ricrearlo nella nostra quotidianità attraverso l’aiuto delle tecniche di visualizzazione.

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* la visualizzazione di un obiettivo viene definito nella prima metà del ‘900 da Neville Goddard – esponente del New Thought- come Uso creativo dell’immaginazione.

** La realtà virtuale ripropone esattamente quello che era già stato anticipato da Tim Gallwey con l’ausilio però di tecniche innovative che aiutano l’individuo a immergersi nella realtà riprodotta virtualmente per stimolare un’emozione che data la sua finalità, puo essere definita terapeutica.

Di Flavia Petralia

Formatrice, coach e autrice, laureata in comunicazioni con un master in Coaching Evolutivo. Titolare di uno studio di prevenzione, tutela e crescita aziendale, lavora come business coach per le aziende clienti. Ricerca e approfondisce temi di crescita e sviluppo personale redigendo articoli che vengono pubblicati presso siti web e riviste nazionali. Autrice di: “Yakamoz”, romanzo di crescita personale in chiave fantasy. Nel 2019 redige articoli di attualità presso la testata giornalistica la Spia. Nel 2020 pubblica il magazine – book : “Successo e Neurocoaching” e diversi articoli per riviste e siti web nazionali.