Non importa quanto costa, ma quanto alto è lo sconto

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Se state per farmi QUELLA domanda, fermatevi. No, non lo so. Non ho la più pallida idea di chi sia questo Paulg. Bisognerebbe domandarlo ad Arthur Bloch, autore de “La legge di Murphy”, raccolta miscellanea di enunciati a vario titolo imparentati con la legge in questione, al cui interno ho trovato il principio intitolato al suddetto sconosciuto, sezione “Contabilità”.

In realtà, la sua formulazione si ritrova, con appellativi diversi, o senza titolo tout court, in diverse raccolte di citazioni o aforismi, per lo più in forma anonima. Mi permetto tuttavia di sollevarla dal livello di aforisma alla dignità di (pseudo)legge, in quanto mi sembra esprimere una verità pressoché universale sul nostro modo di percepire il valore monetario; e non solo. E anche perché essa trova qualche parziale spiegazione in alcune altrettanto universali deviazioni dal pensiero razionale, cui diamo il nome di euristiche e bias.

Eccone dunque l’enunciato.

Legge di Paulg: “Non imposta quanto costa, ma quanto alto è lo sconto”

A essere intellettualmente onesti, non avremmo bisogno di troppe argomentazioni per riconoscerne la validità. Anche quando siamo noi per primi a subirne l’influenza. Tutti siamo catturati, in misura maggiore o minore, dalla parolina magica: “sconto. Non sempre (è un eufemismo, naturalmente), in tempi di saldi, davanti a quel 50%, marchiato in rosso e a caratteri cubitali, ci domandiamo se invece quel prezzo di partenza, scritto in caratteri microscopici e barrato da una vistosa croce, corrisponda davvero a quello praticato fino al giorno prima dello sconto (non di rado la risposta è: no). Né ci premuriamo di confrontarlo con quelli della concorrenza, giusto per non avere la sorpresa di essere fuorviati da un valore chiaramente fuori mercato.

Tuttavia, in tempi in cui le opinioni tendono sistematicamente a sopraffare i fatti, qualche dato proveniente dai laboratori di psicologia può corroborare le nostre impressioni. Tanto per fare un esempio, ecco una delle numerose versioni di un esperimento considerato ormai un classico, originariamente formulato dai due padri fondatori delle teorie sui bias cognitivi, Daniel Kahneman e Amos Tversky.

  1. Vi trovate in un punto vendita di una famosa catena di elettronica. State per acquistare un forno a microonde, in esposizione al prezzo di 100 dollari. Il commesso, che è un vostro conoscente, vi segnala in camera caritatis che lo stesso modello può essere acquistato a 75$ in un altro negozio della catena, ma dal capo opposto della città. Che fate? Acquistate a prezzo pieno sul posto o prendete la macchina e vi recate nell’altro punto vendita?
  2. Vi trovate in un punto vendita di una famosa catena di articoli sportivi. State per acquistare una bicicletta elettrica, in esposizione al prezzo di 5.000 dollari. Il commesso, che è un vostro conoscente, vi segnala in camera caritatis che lo stesso modello può essere acquistato a 4.975$ in un altro negozio della catena, ma dal capo opposto della città. Che fate? Acquistate sul posto a prezzo pieno o prendete la macchina e vi recate nell’altro punto vendita?

Personalmente, confesso di appartenere istintivamente a quella netta maggioranza di persone che, a fronte di queste domande, si dichiara pronta ad attraversare la città per il microonde, ma ritiene lo spostamento demenziale nel caso della bici elettrica.

Peccato che un comportamento simile sia, secondo quella che viene chiamata teoria della scelta razionale (uno dei fondamenti del decision making  tradizionale, conforme agli assiomi dell’economia classica), un modo di agire alquanto irrazionale. Perché?

A chiunque abbia seguito un qualche corso di economia, viene insegnato che la scelta di prendere o meno la macchina per andare a comprare il prodotto dall’altra parte della città dovrebbe  dipendere esclusivamente da tre fattori: il costo del prodotto, il valore che attribuite al tempo che impiegate per spostarvi, e il costo del carburante. Dunque, se tempo+carburante < 25$, cambierete negozio. In caso contrario, resterete nel primo. Bene. Ora, considerando che tempo, benzina e risparmio d’acquisto sono gli stessi tanto nel caso del microonde che in quello della bicicletta, ci aspetteremmo che facciate la medesima scelta sia nel caso a) che nel caso b). Eppure ciò non avviene. Perché?

Stessi negozi, stesse distanze, stessi tempi. Stesso sconto. L’unica differenza che possiamo registrare tra i due casi è il prezzo  dell’oggetto acquistato. Anzi, per essere più precisi, il rapporto tra il prezzo dell’oggetto e il risparmio conseguito. Mentre le teorie classiche dell’economia sostengono che a determinare l’utilità per un agente (e quindi le sue scelte) siano degli stati del mondo  (in questo caso, i valori assoluti  in gioco), scopriamo che spesso decidiamo sulla base di valori relativi  (lo sconto, per l’appunto, che in termini assoluti è sempre lo stesso, ma in percentuale spicca per la differenza, variando da un opulento 25% per il microonde a un misero 0,5% per la bicicletta). Ciò che per un economista dovrebbe essere un SIF (supposedly irrelevant factor, cioè un fattore che ci aspettiamo essere irrilevante per la scelta, secondo la definizione del Nobel Richard Thaler) costituisce in realtà un framing, un inquadramento del problema che favorisce una scelta piuttosto che un’altra, anche quando dovremmo essere indifferenti tra le due. L’effetto di framingsposta la nostra attenzione dal valore assoluto (25$) a quello percentuale (25%) del risparmio. Questo è un dato di fatto. Ma, se ciò può accadere, deve esistere qualche meccanismo che fa sì che ci risulti naturale percepire il secondo in modo più cospicuo del primo.

Ebbene, questo meccanismo esiste, e non è limitato al modo in cui percepiamo i valori monetari. Si tratta piuttosto dell’espressione di un comportamento (tecnicamente una non-linearità), apparentemente cablato nel nostro cervello, che incide sulla valutazione di un po’ tutti i tipi di percezione cui siamo soggetti, dal peso alla luminosità, dalla temperatura alla ricchezza. E che prende il nome di principio di Weber-Fechner. Secondo tale principio, una medesima variazione di uno stimolo (diciamo una differenza di 100 grammi di peso) viene percepita diversamente a seconda dell’intensità dello stimolo stesso (di quanto pesa ciò che stiamo sollevando). Abbiamo in mano un oggetto che pesa 100 grammi, ne aggiungiamo uno uguale. Percepiamo chiaramente la differenza tra le due condizioni (raddoppiamo il peso, in effetti). Ma se aggiungiamo 100 grammi a un carico di 10 chili (solo l’1% in più) ce ne accorgiamo a mala pena. Eppure la differenza, in termini reali, è la stessa. La nostra sensibilità a discriminare tra valori differenti decresce al crescere dello stimolo (in questo caso il peso; in quello dello sconto, il prezzo). La stessa ragione per cui un aumento di stipendio di 5.000€ può essere una grande sorpresa per chi ne guadagna 20.000, mentre rischia di passare inosservato su uno stipendio di 200.000€.

Dunque c’è un effetto di framing (come inquadro il problema), e un effetto dovuto alla nostra fisiologia della percezione. C’è altro?

Eccome. L’elenco sarebbe piuttosto ricco, ma qui vorrei limitarmi ai tre numeri che troviamo sul cartellino: il prezzo originario, il valore dello sconto, e il prezzo finale. Non mi dilungo su quest’ultimo. Gli accorgimenti che i venditori adottano per renderlo più appetibile sono ormai talmente conosciuti (ma non per questo meno infallibili) da non richiedere ulteriori chiarimenti. Uno per tutti, il trucco dei “,99”, grazie al quale il venditore, al misero costo di un centesimo, riesce a far percepire un prezzo di 99,99€ come appartenente all’ordine delle decine, anziché delle centinaia, di euro.

 

Più interessante è il lavoro sul prezzo originario.

Contrariamente all’intuizione, l’interesse di chi vende è quello di esibire un numero alto, piuttosto che basso (a costo di gonfiare un po’ il valore). A favore di questo orientamento giocano un’euristica, e un secondo principio di fisiologia della percezione.

Cos’è un’euristica? È una regola semplice, approssimativa ma per lo più efficace, che usiamo, spesso consapevolmente, a volte in modo inconscio, per sostituire una assai più laboriosa, ma razionalmente corretta, valutazione di una decisione complessa. Un’euristica è veloce, mentalmente poco impegnativa, spesso funzionante, ma a volte sbagliata. Prendiamo il caso del microonde. Se non abbiamo passato ore su siti specializzati per analizzare l’infinita offerta di prodotti e condizioni – oppure se l’abbiamo fatto, concludendo che è un’impresa troppo titanica per la nostra pazienza – una volta nel negozio difficilmente avremo la prontezza di confrontare il prezzo originario con quelli che (forse) ricordiamo della concorrenza. Per non parlare delle altre feature presentate sul cartellino. In questi casi, è difficile resistere alla tentazione di adottare, inconsciamente, la regoletta che probabilmente, fin da piccoli, ci è stata insegnata per orientarci in queste situazioni:

PREZZO = QUALITA’        (nella maggior parte dei casi)

Che, dettaglio non trascurabile, ci conferma piacevolmente nella scelta su cui ci stiamo orientando (confirmation bias). Più alto il prezzo che NON pagheremo, maggiore il valore dell’oggetto che, con un pugno di euro, porteremo a casa. Un vero affare. Siamo dei maghi dell’acquisto.

 

Ma questo è solo il primo appiglio di un meccanismo più articolato. Su questa supervalutazione del vecchio prezzo si innesta infatti un principio ampiamente documentato della psicofisica, che, come la legge di Weber-Fechner, si applica ad un ampio range di tipi di percezione: il principio del contrasto. Robert Cialdini – uno psicologo che amava sporcarsi le mani studiando direttamente il modus operandi di coloro che si guadagnano la vita sfruttando abilmente i trucchi di cui parliamo – introduceva in questo modo il principio ai suoi studenti. Ciascuno di loro veniva messo davanti a tre secchi d’acqua, rispettivamente fredda, a temperatura ambiente, e calda; e veniva invitato a immergere una mano nel primo, e l’altra nel terzo. Dopo di che veniva chiesto loro di metterle entrambe a bagno contemporaneamente nell’acqua tiepida. Il risultato era sorprendentemente schizofrenico: le due mani, pur essendo nello stesso secchio, sembravano trovarsi in due mondi diversi. Nello stesso momento, e nello stesso liquido, la mano che era stata nel secchio freddo si sentiva come immersa in acqua calda; quella che veniva dal secchio caldo sentiva come fosse nell’acqua fredda. È il principio del contrasto: se ci vengono presentati, in sequenza, due cose comparabili di cui la seconda è sufficientemente diversa dalla prima, tenderemo a percepire la differenza tra le due come significativamente maggiore di quanto sia realmente. Il gioco è fatto: il valore “gonfiato” del prezzo originario esalta la percezione della distanza che lo separa dal prezzo che andremo effettivamente a pagare, e a confortarci nell’illusione che abbiamo fatto, davvero, un fantastico affare. Un principio che, in ambito commerciale, trova innumerevoli applicazioni. Così, dovendo vendere un completo da uomo e una cintura, il buon venditore partirà dall’assai più costoso abito (rispetto al cui esborso anche una cintura cara sembrerà regalata). Ma il principio opera ovunque. A puro titolo di esempio, diversi studiosi suggeriscono che una tendenza all’insoddisfazione per l’aspetto dei propri partner romantici possa essere dovuta alla generale proliferazione di persone irrealisticamente attraenti (e spesso pure impietosamente “photoshoppate”) su ogni genere di media. Effetto contrasto.

Per ultimo, suggeriamo sommessamente che anche l’entità dello sconto, di per sé, potrebbe essere il trigger di un’euristica che opera sottotraccia, senza che ce ne rendiamo conto. Personalmente me ne accorgo quando, in occasione dei Black Friday, sono sottoposto a pagine e pagine di offerte, con sconti di ogni genere su prodotti di ogni tipo. Ebbene, mi rendo conto che uno sconto del 20% su un prodotto che desidero davvero acquistare, e che in un altro periodo dell’anno mi metterebbe subito in azione, scompare letteralmente di fronte all’attrazione di un 50% su qualcosa che, onestamente, non ho mai considerato di comprare, e non mi serve affatto. Ancora il principio del contrasto; ma anche, io credo, un’altra euristica di cui è scomodo liberarsi, che potrebbe suonare così:

GRANDE SCONTO = GRANDE AFFARE    (grande autostima?)

Su queste basi potremmo costruire (e, effettivamente, vengono costruite) innumerevoli combinazioni intese a farci acquistare ciò che ci vogliono vendere. Decoy effect, anchoring & adjustment: ce n’è per tutti i gusti. Ma, per ragioni di spazio, mi fermo qui.

Per chi volesse approfondire, consiglio vivamente una conversazione riservata con un venditore di auto usate, o un operatore di supermercato: ne sanno molto più di me. D’altra parte, se così non fosse, avrebbero vita veramente dura.

 Bertrand Russell (Unpopular Essays, 1950: “è stato detto che l’uomo è un animale razionale. Per tutta la vita ho cercato qualche evidenza che potesse supportare tale affermazione”.

photo by Fabian Blank

Di Augusto Carena

Augusto Carena, ingegnere nucleare, si occupa di Simulazioni di Business, Systems Thinking, Decision Making complesso, e bias cognitivi nelle organizzazioni. Su questi temi svolge da trent’anni attività di formazione manageriale in Italia e all’estero. Con Giulio Sapelli lavora sulle culture d’impresa in progetti di etnografia organizzativa. Ha pubblicato con Antonio Mastrogiorgio La trappola del comandante (2012), sui bias nelle organizzazioni, e Dialoghi Inattuali. Sull’Etica