1. Introduzione

L’impiego della metodologia del Coaching in molti ambiti della vita lavorativa e privata (si parla sempre più spesso di Performance Coaching, di Executive & Leadership Coaching, di Team Coaching, di Life Coaching, ecc.) è indicativo del successo che tale metodologia riscuote per favorire il cambiamento delle persone. Tuttavia le imprese hanno anche maturato la certezza che molti fattori, come quelli organizzativi e di mercato, possano contribuire a decretare il successo o l’insuccesso degli interventi di Coaching. E per questo motivo prima di affidarsi al Coaching cercano preventivamente di comprendere come i benefici di tale metodologia possano impattare positivamente non solo sui singoli collaboratori ma anche sull’attività economica dell’impresa. Lo scopo del presente intervento è di mostrare come le azioni di Coaching possano giovarsi di affermate metodologie scientifiche per individuare preventivamente le potenzialità del Coachee e tracciare il percorso di cambiamento che meglio si adatta alle sue caratteristiche.

2. La persona al centro degli interventi del Coach

Si prenda ad esempio il Coaching centrato sulla persona, modello che trae origine dalla psicologia umanista di Carl Rogers che, in contrasto con il comportamentismo e la psicoterapia degli anni Cinquanta, considera il soggetto come naturalmente teso verso l’autorealizzazione di sé. L’approccio di Rogers (noto come “non direttivo”) parte dall’idea di far conoscere al paziente (che Rogers chiamerà “cliente”) le sue attuali condizioni affinché possa dirigere il suo comportamento verso gli obiettivi che si pone. Quest’approccio si distingue da altri modelli d’interazione di Coaching per la sua mancanza di strumentalità, il che permette al Coach di costruire un rapporto dinamico e rispettoso (anche eticamente) delle diverse posizioni che il cliente assume di fronte alle sue problematiche. Compito del Coach che utilizza tale approccio è quello di fornire supporto al cliente per aiutarlo a distinguere, chiarire e scegliere in maniera positiva e consapevole.

La reciproca comprensione, l’empatia e la congruenza sono gli elementi costitutivi del rapporto non direttivo centrato sulla persona, che permette al Coach di offrire al cliente ripetuti feedback per la ricerca di soluzioni utili al conseguimento dei suoi obiettivi. Il Coach permette al cliente di “rispecchiarsi”, di comprendere meglio la sua esperienza attuale, di prendere coscienza delle potenzialità e delle opportunità individuate in funzione di scelte future. Il Coach che guarda alla “persona” rispetta le tracce di cambiamento delineate dal cliente, non scava nel suo passato per cercare errori e situazioni critiche, ma si fida del fatto che il Coachee riuscirà a trovare la sua strada migliore. Non tocca al Coach indicare al cliente i sentieri giusti o sbagliati, perché ciò potrebbe interferire con le sue dinamiche di ricerca, ma deve saper offrirgli una relazione dalla quale partire per poter trovare le migliori soluzioni alle sue problematiche.

Il Coaching beneficia oggi anche delle scoperte delle neuroscienze sulla plasticità neuronale intuita all’inizio del novecento da Santiago Ramón y Cajal e dimostrata dal premio Nobel del 2000 Eric Kandel con i suoi studi sulla memoria e i meccanismi dell’apprendimento. Tale approccio, che chiamiamo di Neurocoaching, vede nella funzione del Coach il fattore di cambiamento principale che è in grado di stabilire e rafforzare nel cervello del Coachee quelle connessioni neuronali che facilitano, ad esempio, l’abbandono di cattive abitudini, il raggiungimento di nuovi obiettivi e risultati, l’aumento della resilienza, l’autocontrollo, la motivazione, ecc.

3. La personalità del Coachee

Senza entrare nei dettagli di cosa s’intenda oggi per personalità si rileva che il modello più diffuso per descrivere le caratteristiche delle persone è il Five Factor Model (FFM) di Costa e McCrae (Costa, P. T. Jr. & McCrae, R. R., Domains and facets: Hierarchical personality assessment using the Revised NEO Personality Inventory; Journal of Personality Assessment, 1995, 64, pagg. 21-50) che oltre a sottolineare la derivazione genetica dei “Big Five” (Estroversione, Amicalità, Coscienziosità, Stabilità Emotiva e Apertura mentale) individua sei sfaccettature (o sottofattori di personalità) capaci di influenzare anche il comportamento e il rendimento lavorativo delle persone. I recenti progressi degli studi neuroscientifici, come anche ipotizzato dalla teoria FFM, affermano che la personalità degli individui abbia origine nel cervello (DeYoung C. G., Hirsh J. B., Shane M. S., Papademetris X., Rajeevan N. & Gray J. R., Testing Predictions From Personality Neuroscience: Brain Structure and the Big Five, Psychological Science, 2010).

E ricerche condotte sull’origine biologica del cervello mostrano che a determinare i comportamenti delle persone concorrono congiuntamente fattori genetici, neuronali e ambientali difficilmente separabili uno dall’altro.

Ad esempio, un ambiente di lavoro favorevole, un clima aziendale che favorisce l’apprendimento e il welfare, e un atteggiamento del Coach di fiducia può attivare nel Coachee maggiore disponibilità a fornire risposte empatiche e maggiore voglia di socializzare. A favorire rapporti di fiducia tra le persone concorre un neuromodulatore (ma anche ormone), l’ossitocina, prodotto dall’ipotalamo e secreto dalla neuroipofisi. L’ossitocina riduce la pressione sanguigna, il livello di cortisolo (ormone dello stress prodotto dalle ghiandole surrenali) e ha benefici effetti nel ridurre l’ansia e incrementare la resistenza al dolore. L’ossitocina riduce inoltre la paura delle persone di entrare in contatto con gli altri, stimola le relazioni sociali e favorisce, ad esempio, l’uso dei social media, di Facebook, di Twitter, ecc. Il Cliente sensibile agli effetti dell’ossitocina lavora facilmente con persone di culture e razze diverse, ma è anche soggetto a facili distrazioni (come segnalato dalla Ricerca di Stimoli nel contesto degli studi sulla personalità; Zuckerman M, Kuhlman D.M., Personality and risk-taking: common biosocial factors. Jounal of Personality, December 2000, 68 (6): 999- 1029; Zuckerman M., Behavioral expressions and biosocial bases of sensation seeking, . New York, Cambridge University Press, 1994) che ostacolano il raggiungimento di quegli obiettivi che richiedono invece molta focalizzazione e concentrazione. Stando all’esempio illustrato sull’effetto dell’ossitocina nel favorire rapporti amicali, si nota come i fattori di personalità (dati dalla combinazione di aspetti genetici, educativi ed esperienziali) e situazionali (l’ambiente, l’organizzazione e i gruppi) si combinano e possono influenzare la riuscita dell’intervento di Coaching e l’effettivo sviluppo delle potenzialità del Coachee.

 

4. Il caso: potenziare la capacità di decidere

Nel modello di Costa e McCrae la personalità è vista come una serie di Tratti organizzati in maniera gerarchica, con Tratti ampi e sovraordinati che organizzano le tendenze abituali che a loro volta organizzano le abitudini comportamentali che si collocano a livello più basso, come mostra l’esempio dell’Estroversione:

  • Fattore: Estroversione
  • Sottofattori (livello del Tratto): socievolezza, attività, ricerca di stimoli, assertività, cordialità, ottimismo
  • Reazioni abituali del soggetto estroverso: preferenza per l’incontro e la relazione con gli altri, fare molti sport ed essere stimolati di continuo, ecc. Reazioni specifiche del soggetto estroverso: andare a feste molto animate oppure essere molto presente sui social; sentirsi un leader in un contesto determinato; ecc.

Cosa significa tutto questo per il Coach? Significa che gli interventi dei Coach difficilmente potranno variare il Fattore di personalità del cliente: il soggetto da Estroverso non potrà diventare Introverso, a meno di malattie e traumi specifici e documentati. In questo senso gli interventi di Coaching si focalizzeranno invece sulle reazioni abituali (habits) del Coachee e su quelle specifiche che limitano la capacità di concentrarsi (attenuando ad esempio la sua partecipazione a eventi, feste, incontri) e di perseguire gli obiettivi che si prefigge.

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Riportiamo un caso che illustra l’impiego della metodologia NEO PI R nella variante italiana di tale versione data dal modello Skill View® realizzato dal prof. Sartori dell’Università di Padova e dall’autore del presente articolo. Di recente un’azienda ha avviato un percorso di Coaching di una persona verso la quale riponeva massima fiducia sia per le sue competenze tecniche e sia per le sue doti di leadership.

Dai punteggi ottenuti nel test emerge che la persona ha problemi collegati all’autodisciplina. L’autodisciplina bassa è tipica dei procrastinatori. Procrastinare non è sempre un male. A volte significa prendere tempo con un cliente dell’impresa per fornirgli la risposta più corretta o utilizzare dati e informazioni non immediatamente disponibili. Nel caso proposto l’autodisciplina segnala effettivamente che la persona nel suo percorso di studi, vita e lavoro (evidente nel CV fornito) aveva per qualche motivo posticipato gli impegni e le decisioni (ritardo negli studi per la laurea, ricerca sul lavoro di scorciatoie e soluzioni spesso inconcludenti). Non sfuggirà anche che il “senso del dovere” della persona è medio basso e ciò indica che la stessa preferisce darsi delle regole proprie piuttosto che seguire quelle consolidate dell’organizzazione.

La persona in questione si era dimostrata capace di raggiungere gli obiettivi dell’azienda, tuttavia con qualche problematica su quest’ultimo fronte relativamente alle modalità comportamentali. Ad esempio, decideva all’ultimo momento (perché rimandava spesso le specifiche decisioni di ogni giorno) inducendo la struttura e i collaboratori ad attese esasperanti e rilevanti perdite di tempo. Il Coachee è molto stabile emotivamente, aperto al cambiamento e desideroso di crescere. Ha quindi accettato di sottoporsi al training del Coaching. Questa persona variava spesso i suoi programmi, e a fronte di una dedizione verso gli altri, mostrava un basso livello di trasparenza (queste cose non sono in contraddizione perché la persona può essere, secondo il modello di studio della personalità illustrato, nel contempo altruista ma avere una bassa integrità) e una difficoltà a svolgere i compiti nei tempi assegnati, tranne poi recuperare all’ultimo momento, secondo modi propri, poco conformi al contesto organizzato dell’impresa.

Al Coach sembrava di navigare nel buio. Il Coachee riusciva a rimandare sistematicamente gli incontri programmati tranne, appunto, poi recuperare con date ravvicinate, con effetti deleteri per l’intervento e per i costi aggiuntivi costituiti dal prolungamento dell’intervento di Coaching. A questo punto il percorso proposto dal Coach era a un bivio: o rinunciare e certificare così il mancato raggiungimento dell’obiettivo oppure riprendere gli incontri individuando nella personalità del soggetto eventuali elementi aggiuntivi per decidere il nuovo programma. Al soggetto fu erogato il test Skill View®.

Il passaggio successivo scelto dal Coach è stato quello di condividere con il Cliente i risultati del test e utilizzare la metodologia appropriata per potenziare il sottofattore debole individuato. Senza tralasciare quelli già forti! Il percorso di Coaching è stato quindi ripreso su nuove basi condivise con il Cliente e l’azienda e sta portando i suoi frutti. Anche se il Coachee tenderà costituzionalmente a procrastinare o a distrarsi (i risultati riportati nella figura evidenziano che la ricerca di stimoli e l’immaginazione caratterizzano il comportamento del Coachee nel senso di portarlo a costruire progetti irrealizzabili e a distogliere il suo sguardo dalla realtà), ha compreso i motivi dei conflitti lavorativi dati in moltissimi casi dal rimandare gli impegni e le decisioni di lavoro. Per il Coachee è naturale fare così! Ma si sta allenando e oggi si focalizza con maggiore attenzione sui problemi da risolvere e grazie a un corso di Mindfulness alla quale ha partecipato si distrae molto meno di prima. L’erogazione del test dopo sei mesi ha permesso di notare un miglioramento nella capacità di affrontare subito le questioni e i problemi che gli sono posti.

 

Demetrio Macheda è consulente di direzione e docente del Centro Universitario Internazionale, iscritto al registro Nazionale Coach Professionisti. Insieme al prof. Giuseppe Sartori dell’Università di Padova ha realizzato il sistema SkillView.

Questo articolo è stato pubblicato sul numero gennaio-aprile 2017 di Outsider.

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