Cambio cellulare dopo anni, e mi accorgo di non ricordare più la password dei social a cui sono iscritta. Dopo innumerevoli tentativi rinuncio e non provvedo ad una nuova installazione e mi chiedo: “com’è possibile trascorrere parte del week end a scervellarsi per trovare la password di un social?”…

 

Ecco, inizio della mia disintossicazione virtuale: io che mi sono sempre considerata estranea a queste logiche digitali -un po’ per ignoranza un po’ per ideologia- mi sono resa conto che non avere più l’accesso a questi canali poteva essere un problema. Oppure anche una grande opportunità!

La mia rete sociale da oggi in poi sarà solo quella reale, sono fuori dai socialche di sociale ho sempre creduto fermamente non ci fosse proprio nulla…

Mi accorgo in queste settimane che mi sento meno bersagliata da provocazioni e commenti sadici, da post per lo più spazzaturasfogatoi silenti e subdoli  che accendono polemiche sterili, indifferenziate e superficiali; rimuovere quella password è stato il miglior regalo che il mio cervello potesse farmi!

 

Riporto la mia esperienza diretta perché grazie a questo episodio mi sono resa conto di quanto la dipendenza inconsapevole possa essere innestata in ogni momento in ciascuno di noi, persino nei confronti di chi si approccia a questi canali con una discreta diffidenza.

Continua lo sconcerto: in famiglia sono dispiaciuti che io non abbia più Facebook: non potrò più vedere i video esilaranti che fa scorrere il social. Parlo con un collega che si sorprende che io non sappia di un evento pubblicizzato sul social. Quasi mortificata devo ammettere della mia latitanza virtuale… e mi rendo conto che buona parte dei contatti sul social sono persone che non conosco e con cui non ho nessun contatto al di fuori del social! (anche in questo caso sarebbe opportuno approfondire il concetto di conoscenza). Nel frattempo mi accorgo di quanto tempo in più riesca a ricavare… anche solo per leggere la mia rivista preferita! alla faccia di chi dice che non abbiamo più tempo per fare nulla… certo se si utilizza sempre e solo internet!

Davvero inquietante riflettere su come questi mezzi abbiano deformato anche le nostre relazioni sociali: se si esce con amici è indispensabile fotografare cibo e compagnia e poi postare, postare, postare…

L’immagine reale è stata deformata, sostituita e confusa con quella costruita ad hoc sui social. Pensiamo, ad esempio, a quante foto al giorno facciamo per gettarle in rete. Non ci interessa chi le riceverà, ma è il nostro modo egosintonico di sentirci presenti e fotogenici… non si sa bene però finalizzato a che cosa.

Anche il non verbale si è modificato…ci sono persone talmente abituate a stare in posa che lo sono anche in momenti ordinari dove non c’è nessun flash che li immortala….! Social che si vendono per essere punti di incontro e quando ci si trova nei contesti sociali non ci si guarda neanche in faccia!

La comunicazione, in generale, è spesso filtrata se non addirittura attivata da questi meccanismi, e nessuno ne è escluso.

I dispositivi tecnologici: cellulare, tablet, pc, piattaforme tv, sono diventate per tutti un feticcio, un oggetto che sostituisce e falsifica le relazioni, che ci rende, a diversi livelli, disadattati al contesto reale e perfettamente integrati alla finzione virtuale.

Proviamo a chiedere ai nostri figli di non utilizzare lo smartphone per un paio di giorni, probabilmente sarebbe difficile anche per noi chiederlo: non è l’uomo che gestisce uno strumento di comunicazione, è lo strumento che gestisce l’uomo.

Non è più nemmeno pensabile essere in una stanza senza un cellulare oppure un tablet. E quando squilla interrompiamo qualunque attività in cui siamo realmente coinvolti, per adempiere agli ordini impartiti dalla tecnologia!

Un apprendimento condizionato, una schiavitù venduta come necessità del nostro tempo.

Chissà se i nostri giovani, i nativi digitali, sono in grado di costruire un’identità personale e svilupparla avulsa dai social, chissà se sono davvero in grado di percepirne i confini, chissà se ne siamo ancora capaci noi!

Egosintonici nei confronti dei nostri bisogni che diventano sempre più sofisticati e inarrivabili, eterodistonici nei confronti degli altri: l’altro è un album fotografico in rete, un’immagine, della persona reale non ci interessa un granché.

Non siamo più disposti all’ascolto dell’altro, presi come siamo dalla nostra logica privata, da un narcisismo rassicurante e conservativo.

Abbiamo tutti la sfera magica  tra le mani, l’oracolo con tutte le risposte. Eppure ci sentiamo sempre più insicuri, sempre più scontenti, incontentabili e intolleranti.

Abbiamo perso l’abitudine al contatto con l’altro; l’altro è già stato sostituito da tempo da chip e circuiti elettrici che ci appagano finzionalmente dandoci tutte le conferme di cui abbiamo bisogno.

Nella relazione autentica con l’altro, ahimè questa corrispondenza non è né immediata né certa, la relazione con l’altro richiede tempo, curiosità, comprensione, ascolto e attenzione: capacità di cui in genere siamo sempre meno provvisti.

Nell’articolo precedente ho cercato di dare una cornice clinico-teorica del fenomeno: se una possibile definizione della normalità è l’equilibrio tra l’individuo e l’ambiente, è importante definire anche che tipo di ambiente: non s’intende senz’altro quello virtuale!

L’ambiente virtuale ci concede un’illusione di potere e ci abitua a questo sentimento di assoluta centratura del sé, rendendoci poi così incapaci di dedicare attenzione ad altro.

Il rischio è davvero quello di soffrire di una dipendenza mortifera mascherata da mezzo di comunicazione; e tollerata proprio perché vissuta da tutti.

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Riferimenti bibliografici e sitografici:

Di Sara Di Giamberardino

Psicologa psicoterapeuta adleriana, lavora presso ATM di Milano dal 2005 nella Direzione Formazione Selezione Sviluppo e Organizzazione. Si occupa in particolare di progettare ed erogare interventi di formazione relazionale/ manageriale e di selezione delle figure professionali ricercate per i diversi ruoli aziendali. Collabora come volontaria con Dimensione Animale di Rho.