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Nella remota ipotesi che, all’inizio della pandemia, abbiate avuto la bizzarra idea che le persone che si oppongono ai vaccini contro il Covid costituiscano una coorte granitica, aggregata intorno a pochi princìpi condivisi, è bene che ve ne facciate una ragione. Quella granitica coorte non esiste.

Verrebbe quasi da parafrasare l’incipit di Anna Karenina (Tutte le famiglie felici si somigliano; ogni famiglia infelice è invece infelice a modo suo). Perché i pro-vax, obiettivamente, convergono più o meno su poche, difficilmente confutabili convinzioni, peraltro complessivamente spalleggiate da una comunità scientifica mai così anarchica e desiderosa di protagonismo. Ma i no-vax – parlarci per credere – sembrano avere motivazioni e argomentazioni molto più variegate. Tot capita, tot bias. Non è un caso che coloro che tentano di confutarli non riescano ad ottenere  il tempo televisivo per affondarle tutte. Col risultato che spesso appaiono goffi o scontati, o siano costretti a parlare ex-cathedra, tanto per tagliare corto. E con l’attivo contributo di politici e media, per cui spesso una (opinione) vale una.

libro aperto

Piuttosto che studiare la questione con un approccio etnografico – che sarebbe molto divertente, oltre che utile – mi sono proposto di affrontare il tema provando a vedere se qualcuna delle motivazioni che ci allontanano dalla vaccinazione (personale) sia per caso legata a qualche tipo di bias cognitivi. Che, ricordiamo, sono deviazioni molto comuni e naturali dal ragionamento e dal comportamento razionale, sistematiche, universali e apparentemente di buon senso a cui tutti siamo, inconsapevolmente, soggetti.

Fortunatamente una schiera, ormai molto ampia, di psicologi, economisti e altri studiosi di scienze sociali, ha provveduto a generare ampie liste di bias – siamo nell’ordine di molte decine. Troverò pure, pensavo, qualcosa che aiuti a dare conto di certi atteggiamenti. Ne sono rimasto sopraffatto. Al punto che ho dovuto limitare l’elenco ai bias più direttamente collegati al tema: una stringata descrizione, e i loro effetti sulla vaccinabilità umana. Così, ecco a grandi linee ciò che ho trovato.

Availability bias (bias della disponibilità).

Rappresenta la nostra tendenza a sopravvalutare la probabilità o la frequenza di quegli eventi che siamo in grado di richiamare più facilmente e velocemente alla memoria. Se è accaduto a noi, o a qualche parente o conoscente, allora deve essere davvero comune. Il Covid dei primi tempi appariva remoto. Per i più lontani dall’epicentro sembrava solo un’allucinazione irreale. Quando i primi parenti o vicini di casa si sono ammalati, ci siamo sentiti circondati, sovrastati. Le forti emozioni che ci hanno accompagnato hanno ulteriormente amplificato la percezione del fenomeno.

Ma se il meccanismo funziona nell’alimentare la convinzione che la pandemia esista, funziona anche nell’amplificare le perplessità dei no-vax. Potreste obiettare che i casi di conoscenza diretta di vaccinati colpiti da trombosi sono pressoché inesistenti, e avreste ragione. Ma val la pena notare che l’altra grande fonte di eventi salienti, facilmente richiamabili alla memoria, sono i media, che quanto a sfruttamento delle emozioni non sono secondi a nessuno. Direte ancora che il panorama televisivo è dominato dai pro-vax (il che non è poi così vero). Ma considerate che oggi gran parte della comunicazione oggi passa attraverso i social network, che sappiamo essere progettati in modo da esporci non alla massima eterogeneità di opinioni, ma al contrario ai commenti di coloro che abbiamo scelto come “amici”, e che dunque ragionevolmente non differiranno molto dai nostri. Il che punta direttamente al prossimo bias.

Confirmation bias (bias della conferma).

Rassegniamoci. Non siamo filosofi alla ricerca della verità a tutti i costi, pronti a rinunciare alle nostre idee di fronte all’evidenza. Somigliamo piuttosto a politici a caccia di argomentazioni per sostenere ulteriormente le nostre convinzioni correnti, che siano frutto dell’insegnamento dei nostri genitori, delle idee dei nostri amici, di lunghe riflessioni personali o di inoppugnabili gut feeling. Cerchiamo conferme ai nostri pregiudizi (sui quotidiani più autorevoli, con il rischio di trovare dati che ci smentiscono? Macché, sui social che sappiamo già condividere le nostre posizioni). Evitiamo accuratamente di farci venire pericolosi dubbi. Filtriamo gli input esterni attraverso il setaccio delle nostre idee e preferenze. Letteralmente, sentiamo ciò che vogliamo sentire. Letteralmente, non percepiamo ciò che non vogliamo sentire. N.B. Questo vale tanto per i no-vax quanto per i pro-vax. Non è così strano che i dibattiti su questi argomenti rafforzino le convinzioni di chi in proposito ha già un’opinione definita. Cambiamenti di schieramento? Non pervenute. È quello che, eloquentemente, viene chiamato myside bias.

Illusory correlation (correlazione illusoria).

Il fatto che esista una correlazione temporale tra due fenomeni non significa necessariamente che tra i due esista un rapporto di causazione. Potrebbero, anzi, essere totalmente indipendenti tra loro, e condividere solo il fatto di essere casualmente avvenuti nello stesso lasso di tempo. Ciononostante, una trombosi che, per ragioni del tutto incorrelate, colpisca dopo qualche giorno una persona vaccinata, ha un potere suggestivo troppo forte per non apparire un effetto della profilassi. Che le coincidenze temporali siano un invito irresistibile all’interpretazione causale anziché casuale deriva da una tendenza generale della nostra mente a sovrapporre un eccesso di senso anche a cose che non ne hanno affatto. Al punto che la nostra stessa immagine di casualità appare decisamente stereotipata e irrealistica. Caratterizzata da una troppo ordinata (!) alternanza di variazioni, e da una molto moderata aspettativa di coincidenze (che interpretiamo troppo spesso come segnale inequivocabile di relazione causale). Per intenderci: in una sequenza di lanci di una monetina, a testa (T) o croce (C), TTTTCCCC ci appare inequivocabilmente segnalare un fenomeno sistematico sottostante (una moneta truccata?); mentre TTRTRRTR ci sembra una vera distribuzione random. Ma entrambe le sequenze hanno la stessa probabilità di verificarsi.

Omission bias (bias di omissione).

Percepiamo come più gravi le conseguenze negative derivanti da un’azione (faccio attivamente qualcosa) che quelle, di portata equivalente, che dovessero derivare da una omissione (rinuncio o dimentico di fare qualcosa). Riteniamo che l’atto di vaccinarsi, che sappiamo comportare un rischio ancorché limitato, sia peggiore che semplicemente non fare nulla, anche se questa omissione espone a un rischio enormemente maggiore del primo. Il che nasconde due tipi di errori diversi tra loro. Il primo (l’omission bias che abbiamo appena descritto) si riferisce al fenomeno psicologico, che ci fa sentire più colpevoli se corriamo un rischio agendo piuttosto che stando fermi. Il secondo riguarda invece una più generale inadeguatezza statistica che tutti mostriamo nell’analizzare i problemi di valutazione e decisione in condizioni di incertezza: consideriamo solo una parte del problema (il rischio del vaccinarsi) trascurando l’altra (il rischio di non vaccinarsi). Siamo decisamente degli statistici intuitivi piuttosto scadenti.

Dissonanza cognitiva.

Non siamo in grado di sopportare a lungo un conflitto tra le nostre convinzioni e i nostri comportamenti. Quando la tensione supera un certo livello, siamo costretti ad alleviarla modificando il punto più debole tra gli elementi in conflitto. Cioè, fin troppo spesso, le nostre convinzioni. Se sappiamo che ragionevolmente i vaccini funzionano, ma abbiamo paura dei loro effetti, troveremo il modo per convincerci che essi in realtà non funzionano affatto (o quanto meno non bene come dicono). Sarà sbagliato, ma probabilmente ci sentiremo meglio.

Overconfidence.

Per quanto l’esperienza debba averci insegnato qualcosa, e il semplice buon senso debba aver fatto il resto, siamo inesorabilmente condannati a ritenere almeno qualcuna delle nostre caratteristiche (simpatia, abilità nella guida, leadership) superiore a quanto sia nella realtà. Diciamo, un ottimismo non pienamente giustificato su ciò che ci riguarda, che spesso ci spinge a fare il passo più lungo della gamba. Questa illusione di superiorità non li limita ai nostri tratti o capacità, ma si estende più in generale alle nostre sorti progressive e future, che queste siano determinate dalle nostre doti, o piuttosto, più banalmente, dalla fortuna.

Ecco allora che, davanti all’altare, le statistiche che illustrano come la maggior parte dei matrimoni finisca in una separazione valgano per tutti, eccetto che per noi. E, analogamente, pur sapendo che è irragionevole, attraversiamo la vita nell’intima convinzione che incidenti stradali le malattie esiziali capitino solo agli altri. Così, un buon supplemento agli altri argomenti per non vaccinarsi è la domanda retorica: anche se (il covid) esistesse, perché dovrebbe capitare proprio a me? E che sarà mai una mascherina non indossata in una piazza affollata?

Hyperbolic Discounting.

A dispetto del nome inutilmente complicato, ci si riferisce alla fin troppo comune tendenza a svalutare la rilevanza di un piacere (o una sofferenza) lontani nel futuro rispetto ad uno disponibile nell’immediato. In parole povere, tendiamo a scegliere un piacere pronto all’uso rispetto a un benessere a lungo termine. E, viceversa, a preferire di evitare una piccola sofferenza immediatamente incombente anche a costo di rischiare grossi problemi nel futuro. C’è da non crederci, ma molte persone preferiscono rischiare le conseguenze del Covid rispetto a soffrire un paio di giorni di febbre o doloretti.

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Potrei andare avanti a lungo. Magari lo farò. Qui però preferisco spendere qualche parola per una trappola sociale che, pur non essendo formalmente un bias, guida il nostro comportamento nel caso dei vaccini Covid, come in diversi altri problemi annosi. E quando le trappole sociali si aggiungono a quelle individuali, siamo nei guai. Provate a seguirmi.

Un gruppo di pastori condivide un pascolo comune, in grado di assicurare il sostentamento di molti ovini, ma non infiniti. Di volta in volta, ogni pastore decide di aggiungere o meno un animale al proprio gregge. Cosa è razionale fare per il pastore? Aggiungendo un agnello, egli si ritroverà un significativo vantaggio al momento di rivenderlo al mercato. Inoltre, il costo dell’operazione (un maggiore consumo di erba) sarà condiviso con gli altri pastori, rendendola particolarmente conveniente: guadagno tanto, spendo poco. Suo interesse sarebbe ripeterla anno dopo anno.

D’altra parte, gli incentivi sono gli stessi per tutti i pastori. Se tutti scegliessero di allargare il loro gregge, seguendo il proprio interesse, i pascoli verrebbero completamente erosi, e tutti i pastori rimarrebbero senza nulla.

Nel 1968 Garrett Hardin, un ecologo ante litteram, scrisse questa parabola – la Tragedia dei Beni Comuni – per mettere in guardia contro una serie di problemi che condividono la stessa struttura: la sostenibilità ambientale, l’evasione fiscale, ecc. Il contrasto tra la razionalità (economica) individuale e la razionalità (generale) collettiva può provocare danni che non possono essere evitati se non uscendo da una logica puramente individuale. È il problema della cooperazione.

Credo che il problema del vaccino – come quello delle mascherine, degli assembramenti, delle manifestazioni sportive – presenti lo stesso tipo di struttura. Finché i non vaccinati sono in numero molto limitato, potranno portare avanti la loro strategia, vincendo la loro partita. L’immunità di gregge potrà essere comunque raggiunta, loro conseguiranno il loro (modestissimo, ma per loro evidentemente importante) vantaggio, e il costo lo pagheranno tutti gli altri. Ma se il loro numero dovesse essere molto maggiore, il costo lo pagheremmo (o lo pagheremo?) tutti. L’erba del pascolo potrebbe irreversibilmente esaurirsi.

Di Augusto Carena

Augusto Carena, ingegnere nucleare, si occupa di Simulazioni di Business, Systems Thinking, Decision Making complesso, e bias cognitivi nelle organizzazioni. Su questi temi svolge da trent’anni attività di formazione manageriale in Italia e all’estero. Con Giulio Sapelli lavora sulle culture d’impresa in progetti di etnografia organizzativa. Ha pubblicato con Antonio Mastrogiorgio La trappola del comandante (2012), sui bias nelle organizzazioni, e Dialoghi Inattuali. Sull’Etica