Alla ricerca della leadership autentica 

Nel nostro Paese, in cui un titolo non si nega a nessuno, dove i presidenti rimangono tali anche quando non sono più in carica e pure i direttori lo sono a vita anche se smettono di esserlo, trovare persone che esercitino una leadership autentica non è cosa facile. 

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Era una bella giornata di sole, con un’aria frizzantina e le montagne circostanti imbiancate da una neve scintillante. Uno scenario naturale che donava una sensazione di pace e tranquillità. 

Massimo Perego si stava godendo la sua settimana bianca in una località sciistica del Trentino in compagnia della moglie, la quale era solita passare parte della sua giornata alla S.P.A. dell’albergo nel quale soggiornavano. 

Quel pomeriggio Perego decise di accompagnare la moglie Paola nel suo percorso di benessere, anche perché non ci era ancora stato e sua moglie ne parlava molto bene. Quindi misero il costume, infilarono le ciabattine e uscirono dalla camera avvolti nell’accappatoio per prendere l’ascensore verso l’ingresso della S.P.A. 

Superata la porta d’ingresso furono accolti dalla signora Magda, la responsabile del team che operava nella S.P.A. (in altre parole la team leader), con la quale svolsero le necessarie formalità burocratiche e ricevettero il telo per accedere alla zona umida. 

Fu in quel mentre che un’altra persona avvolta nell’accappatoio si avvicinò alla responsabile e le disse: «Guardi che entrando nella sauna ho trovato alcuni teli stesi sulle panche, ma nella sauna non c’era nessuno. Probabilmente qualcuno andandosene li ha lasciati lì. Il fatto è che nel frattempo nessuno si sente di occupare quei posti e quindi i teli andrebbero rimossi». 

La reazione della signora Magda fu immediata: «Se è così ha perfettamente ragione», e poi aggiunse: «Aspetti solo un attimo». Quindi si allontanò con passo veloce alla ricerca dell’inserviente responsabile della pulizia della sauna e dopo un paio di minuti ritornò alla postazione di ingresso in compagnia di una ragazza di nome Agnieszka. 

Si rivolse quindi verso la ragazza dicendo: «Questo gentile signore mi segnala la presenza di teli abbandonati nella sauna. È tuo il compito di mantenerla pulita e accessibile e sei stata di nuovo negligente. È già la seconda volta che succede nelle ultime due settimane. Ti dico subito Agnieszka che non ce ne sarà una terza e spero che tu abbia capito cosa intendo!». 

La ragazza era visibilmente avvilita e cercò di giustificarsi: «Deve essere successo negli ultimi minuti … una signora era in difficoltà con i comandi della vasca idromassaggio e sono andata là». Ma la signora Magda fu inflessibile, alzando la voce e con fare arrogante disse: «Non accetto giustificazioni… se ci sono difficoltà avvisi me… se vuoi fare di testa tua quella è la porta di uscita. E ora va a mettere a posto!». 

Agnieszka si avviò a capo chino e in fretta verso la sauna, per sottrarsi il più presto possibile a quella situazione umiliante che le era capitata, lasciando peraltro in un certo imbarazzo i testimoni dell’accaduto, vale a dire i coniugi Perego e il signore che aveva segnalato la presenza di teli “senza padrone” in sauna. 

Di fatto a Massimo Perego quell’episodio non era piaciuto per niente. 

In pochi minuti era stato testimone di ciò che non deve mai fare chi guida un team, in altre parole di ciò che la leadership non è. 

Se c’era una cosa che Perego aveva imparato in tanti anni di gestione d’impresa, era l’importanza della gestione dei rimproveri in un team (ma anche in una famiglia): se si vuole che una squadra resti una squadra, se non si vuole umiliare la persona che ha sbagliato, se la si vuole aiutare a sbagliare meno, il rimprovero non deve essere mai pubblico. Né davanti ai colleghi, né davanti a estranei e men che meno in una chat che tutti possono leggere. La segnalazione di un errore si fa dunque in privato. 

I leader di cartapesta (*) 

L’episodio che lo aveva involontariamente coinvolto era apparso ai suoi occhi come la palese manifestazione di un vuoto di leadership, cosa che spesso gli capitava di riconoscere in individui che si trovavano al vertice di un organismo per ragioni diverse dalle loro competenze specifiche e/o dalle capacità relazionali e comportamentali, tutte necessarie a guidare un gruppo verso il raggiungimento di obiettivi comuni. 

Non di rado l’unico obiettivo di queste persone era quello di prendere decisioni che li potessero favorire personalmente (spesso camuffandole con l’idea che si trattasse di decisioni positive per la maggioranza della comunità di riferimento). Erano individui che lui definiva “leader di cartapesta”. 

Dal canto suo, Perego era molto lontano da una siffatta figura: si era infatti impegnato nel corso della sua carriera a sviluppare costantemente le sue doti di leadership allo scopo di gestire e motivare in modo eccellente ed equilibrato le persone appartenenti all’organizzazione di appartenenza per arrivare sinergicamente al risultato desiderato. 

Alla fine Massimo Perego era diventato l’A.D. della azienda in cui lavorava, un imprenditore capace di leggere situazioni e persone e di agire di conseguenza, con una visione chiara e positiva del futuro e una comunicazione efficace/efficiente. Un leader autentico, con qualità personali e professionali che andavano oltre le sole abilità pratiche o di gestione aziendale. 

Proprio per questo Perego non si capacitava del fatto che i leader di cartapesta fossero così numerosi, come gli veniva confermato quotidianamente da ciò che gli perveniva attraverso i suoi canali di contatto. Cioè che il fine per molti fosse raggiungere la posizione di vertice e non il fatto che essi, esercitando la leadership, potessero migliorare le condizioni della comunità che ad essi faceva riferimento. Ciò risulta evidente ad esempio nel caso delle/degli influencer in riferimento ai loro follower o di chi è in testa ai sondaggi di gradimento (in ambito politico, sportivo, artistico, ecc.) in riferimento ai fan. 

In ogni caso, è sulla base del suo comportamento che una persona viene categorizzata come leader e a un osservatore attento come Perego non sfuggivano le carenze che appartenevano ai cosiddetti “leader” che affollavano il suo quotidiano, ciascuna delle quali gli appariva una condizione più che sufficiente per giustificarne l’appellativo di leader di cartapesta. 

Attributi negativi

Il loro modo di agire, la loro storia, evidenziavano infatti attributi negativi che impedivano loro, a volte inconsciamente, il pieno esercizio della leadership, come ad esempio: 

  • La mancanza della piena conoscenza di sé: la consapevolezza dei propri valori, delle qualità, dei punti di forza, permette a un individuo di conoscersi e gestirsi. In poche parole, di essere leader di se stesso. I leader di cartapesta, non avendo fatto seriamente questa introspezione, non conoscono le basi per realizzare il loro miglioramento, mantenendo quindi inalterate nel tempo le loro caratteristiche negative. Inoltre, risultando insensibili a questa necessità di miglioramento personale, lo sono a maggior ragione quando questa necessità è riferita ad altri (ad esempio ai propri collaboratori).
  • Il conseguimento dei risultati ignorando l’etica: i risultati sono spesso raggiunti attraverso imbrogli o manipolazioni. È proprio dei leader di cartapesta confondere la manipolazione con la leadership. Su questa base si possono a volte vincere alcune battaglie, ma a lungo andare la perdita della capacità di influenzare gli altri e una alterata percezione dell’ambiente e delle persone, non fanno altro che produrre una progressiva riduzione dell’efficacia personale: l’insuccesso è quindi dietro le porte. 
  • L’indifferenza verso gli altri: avendo un atteggiamento narcisistico, hanno una visione artefatta di sé e delle proprie idee e quindi poco aderenti alla realtà. La conseguenza è che spesso le potenzialità e le capacità dei collaboratori vengono ignorate, come pure le loro idee e proposte. 
  • L’interesse al loro bene personale più che a quello della collettività di appartenenza: esercitare la leadership significa prendersi cura di qualcosa che va oltre il proprio io (ad esempio il bene del team, dell’organizzazione, della comunità cui l’organizzazione appartiene) e guidare gli altri verso una condizione migliore, anche se ciò significa per il leader passare in secondo piano o rinunciare (anche temporaneamente) alla sua posizione di leader. In altre parole, la leadership autentica vede il leader al servizio degli altri, non il contrario. 
  • La preoccupazione di fare promesse più che di mantenerle: la leadership non si rappresenta con la retorica delle parole, ma con gli atteggiamenti mentali, i comportamenti, le azioni, allo scopo di ispirare gli altri a dare il meglio di sé. 
  • La consuetudine di prendersi il merito (invece di darlo) e di scaricare su altri gli insuccessi: i leader di cartapesta tendono a prendersi il credito del successo ottenuto da tutto il gruppo di riferimento e, al contrario, possono risultare assenti quando si presentano problemi complessi da risolvere. Nel caso poi di insuccesso di qualsivoglia loro attività, la prassi solitamente più applicata è l’attribuzione di questo accadimento a eventi terzi e/o ad altri. 
  • L’atteggiamento autoritario: i leader di cartapesta non permettono al gruppo di riferimento di prendere l’iniziativa e di sviluppare il lavoro secondo i propri criteri. Per questo motivo preferiscono non delegare e, quando devono farlo, controllano costantemente il lavoro per verificare che venga svolto secondo le loro modalità. Il risultato di questo atteggiamento è uno solo: lavoratori insoddisfatti con bassa produttività. 
  • La difficoltà ad attrarre (e mantenere) i migliori talenti: in generale i migliori talenti sono attratti da ambienti professionali in grado di massimizzare il potenziale umano grazie alla presenza di una leadership efficace, aperta ed empatica; dalla condivisione di valori significativi, vissuti quotidianamente e che guidano le decisioni; da una cultura volta al miglioramento continuo e aperto al contributo di tutti. Ebbene, in un contesto culturale e organizzativo guidato dai leader di cartapesta accade esattamente il contrario: il talento tende a essere soffocato in quanto percepito come una possibile minaccia per l’autorità e il prestigio del leader. Solitamente, più questi leader sono mediocri e incompetenti, più tendono a circondarsi di persone mediocri e incompetenti.

Il primo passo per raggiugere la leadership autentica 

Ciascuno di noi può aspirare a diventare un leader autentico, in quanto possessore (chi più chi meno) di abilità acquisite in funzione delle esperienze di vita, degli insegnamenti familiari ed educativi, delle persone frequentate e incontrate, delle esperienze lavorative, degli insegnamenti spirituali, dei fallimenti e dei successi avuti. 

Da quanto precedentemente esposto possiamo dedurre che la leadership autentica è uno stile di leadership che si basa sull’essere fedele a se stessi. Implica essere trasparenti, etici e onesti nei propri rapporti con gli altri. Inoltre i leader autentici non hanno paura di mostrare vulnerabilità e sono aperti al confronto e al feedback dei membri del loro team. 

Desiderare semplicemente essere un leader non significa che una persona abbia maturato il carattere, le competenze e il coraggio necessari per essere tale. 

Occorre impiegare tempo e fatica per sviluppare le caratteristiche necessarie a occupare degnamente questo ruolo. Per questa ragione molti non vogliono/possono impegnarsi in questo senso perché ciò significherebbe uscire dalla propria zona di comfort, assumere rischi (derivanti ad esempio da eventi esterni, come cambiamenti politici o economici, o eventi interni, come problemi di personale o tecnologici), spesso sfidare lo status quo. 

Di conseguenza, alcuni preferiscono scegliere carriere di tipo orizzontale, senza avere il desiderio di progressioni verticali, andando a ricoprire ruoli per i quali l’esercizio della leadership comporta responsabilità limitate e impegni più circostanziati. 

Di fatto, per tutti coloro che intendono sviluppare doti di leadership e intraprendere il faticoso cammino per diventate un leader autentico, il primo passo è quello di maturare la consapevolezza di non esserlo e allo stesso tempo scoprire di avere la ferma motivazione di voler evolvere verso questa nuova dimensione. 

Si tratta quindi di comprendere prima di tutto l’importanza del saper essere   oltre che del saper fare, avendo chiara la ragione dell’impegno e della dedizione necessari per raggiungere ed esercitare la leadership autentica. 

 

vedi anche Leadership condivisa e Apollo 13

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(*) Leader di cartapesta: con la cartapesta si possono realizzare creazioni dall’estetica accattivante, appariscente, utilizzando un materiale la cui essenza è di pochissimo valore (una mescola di pezzi di carta e colla). Una perfetta metafora per descrivere leader di cartapesta cioè quelli scelti per il loro fascino o per la loro ostentata sicurezza, ma controproducenti e distruttivi quando si trovano a guidare e gestire le persone 

Di Vessillo Gianni Valentinis

Laureato in Ingegneria al Politecnico di Milano, ha percorso la sua carriera nell’ambito di società multinazionali, ricoprendo vari ruoli dirigenziali e acquisendo una profonda conoscenza delle necessità del business, del suo sviluppo e della gestione d'impresa. I suoi attuali interessi sono rivolti allo sviluppo individuale e organizzativo e alle dinamiche di innovazione nelle organizzazioni, temi su cui ha svolto attività di consulenza e docenza. Ha pubblicato “Alla ricerca dell’eccellenza comportamentale” con A. Mandruzzato, Ed. Franco Angeli, 2014; “La strada per l’eccellenza” con A. Mandruzzato, Ed. Etabeta, 2022.