Houston, abbiamo un problema… chi non ricorda questa frase? e come ha avviato il processo di problem solving?

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Abbiamo due modi per affrontare e risolvere un problema:

  • occuparcene completamente in prima persona utilizzando la nostra creatività
  • far leva sull’organizzazione/reparto/team di appartenenza per cercare la soluzione migliore, utilizzando uno stile di leadership condivisa.

Houston, we’ve had a problem.”  Era la frase pronunciata dal comandante Lovell nel corso della sfortunatissima missione lunare dell’Apollo 13, dopo che la navicella spaziale aveva iniziato a perdere energia.

Era anche il pensiero fisso che ricorreva nella mente del ragionier Saladini – responsabile del reparto amministrativo – ogniqualvolta un collega della organizzazione a cui apparteneva usciva dal suo ufficio.

Infatti, essi andavano spesso da lui a evidenziare la presenza di problemi che avevano o avrebbero potuto avere influenza sull’andamento economico-finanziario dell’organizzazione stessa.

Più semplicemente, Saladini pensava che queste persone gli facessero visita per “scaricare” su di lui i loro problemi lavorativi. Di fatto, qualunque cosa fosse accaduta, tale da turbare la serenità lavorativa di questi soggetti, questa aveva l’effetto di generare una loro segnalazione ai rispettivi capi, come se la ricerca di una soluzione al problema evidenziato non li riguardasse affatto. Più ascoltava quelli che si rivolgevano a lui e più aveva l’impressione di guardare un notiziario: un elenco di accadimenti, date, fatti e numeri senza alcuna riflessione sul ruolo da loro ricoperto e ai compiti ad essi attribuiti.

Infatti, nella maggior parte dei casi ciò avveniva senza che l’interlocutore avesse definito in maniera chiara e completa il problema da affrontare e quale fosse l’obiettivo che esso stava compromettendo o stava per compromettere.

Senza contare che questi colleghi a volte manifestavano indignazione per coloro che si mostravano insofferenti alle proprie infruttuose segnalazioni.

 

Lo stile di gestione e di leadership più adatto allo scopo

Come è noto, il modo di governare una organizzazione può risolvere i problemi o al contrario aumentarli.

Saladini faceva parte da un paio d’anni di una organizzazione, basata su strutture gerarchiche e funzionali, che presentava uno stile di gestione verticale  (la maggior parte delle strutture organizzative delle imprese si basa su modelli gerarchici e funzionali di leadership verticali).  Il modello di leadership vigente – intesa nella sua funzione di prendere e diramare decisioni – tendeva quindi a delegare poco e in generale era compito del leader prendere tutte le decisioni personalmente, a scapito della comunicazione e del confronto.

Questa situazione, unita al fatto che il contesto esterno all’organizzazione era entrato in una fase di turbolenza continua (causata da pandemia, crescita dei costi delle materie prime, inflazione, guerra alle porte dell’Europa), stava ingolfando Saladini dal punto di vista lavorativo, in quanto tendeva a originare un frequente pellegrinaggio di colleghi al suo ufficio.

In passato, Saladini aveva presenziato a un seminario di formazione sulla leadership e quindi sapeva che la concezione verticale della leadership consente di strutturare e organizzare in modo stabile l’interazione di componenti diverse (persone, competenze, risorse materiali). Il processo decisionale risulta però centralizzato, con decisioni prese dai dirigenti di livello più alto.

Nell’occasione, era stato anche informato che per affrontare eventuali cambiamenti continui nel mondo esterno all’ente di appartenenza, le più adatte a rispondere più rapidamente a detti cambiamenti erano le organizzazioni gestite in modo orizzontale, poiché articolate con meno livelli di gestione e con il processo decisionale decentralizzato. Questa minore gerarchia, consentiva ai dipendenti una maggiore libertà e autonomia che si trasformavano spesso in una riduzione dell’attesa per un’autorizzazione, minori tempi morti per il controllo e, in generale, un maggiore sviluppo di entusiasmo nel team di lavoro.

Era chiaro a Saladini che per risolvere il suo problema, cioè mettere un freno al “pellegrinaggio” dei colleghi (e diminuire la pigna di carte sulla scrivania) doveva integrare i due stili di gestione e leadership (verticale e orizzontale), combinandone le dosi in modo opportuno per non sconvolgere immediatamente l’operatività consolidata e rassicurante del “si è sempre fatto così”. Doveva quindi immettere “qualche goccia” di leadership orizzontale nel suo reparto, sino a quel momento operante in un contesto organizzativo verticale, introducendo e sviluppando di conseguenza un nuovo stile di “leadership condivisa” (*).

In pratica, ciò voleva dire accordare più autonomia e responsabilità ai collaboratori e diffondere tra essi i concetti del Problem Solving, con il vantaggio di limitare il suo contributo alla discussione delle proposte solutive avanzate dagli interlocutori, alla condivisione della soluzione finale al problema e alla verifica del risultato.

 

Cosa fare quindi nell’immediato, tenendo conto di queste realtà ed esigenze?

Saladini aveva deciso di attuare un cambiamento graduale partendo dalle piccole cose, perché pensare a grandi cambiamenti avrebbe portato ad allungare i tempi di realizzazione, magari continuando a rinviare.

Sarebbe stato quindi importante modificare anche di poco piccole abitudini operative, sia nei metodi che nei rapporti interpersonali, per produrre cambiamenti positivi.

Questo suo desiderio gli faceva ritornare alla memoria un episodio del film “2001: Odissea nello spazio”: un gruppo di scimmie antropoidi trovano un monolite, lo toccano e qualcosa accade in loro: si accorgono per la prima volta che un osso abbandonato può diventare una clava, uno strumento utile. Si era accesa la scintilla dell’intelligenza.

Nel suo caso, per far accendere la scintilla della “leadership condivisa”, era necessario prima di tutto individuare una soluzione utile al problema reale che lo tormentava attivando al massimo la sua creatività. Per fare ciò occorreva indirizzare il pensiero verso nuove possibilità solutive anche in modo originale e fuori dagli schemi.

Tra le tante idee che gli frullarono in testa scelse la soluzione che ritenne migliore in termini di efficacia, economicità e opportunità.

Decise di appendere nel suo ufficio un poster con dimensioni 40×30 cm e di collocarlo sul muro dietro alla sedia della sua scrivania.  Lo posizionò ad una altezza tale da essere visto da chiunque si fosse seduto davanti a lui. Infatti, guardandolo in prospettiva, la sua collocazione risultava esattamente sopra la sua testa e per questo motivo coloro i quali si fossero rivolti verso di lui non potevano non notarlo.

Il poster presentava uno sfondo bianco per porre in risalto la scritta in stampatello nero in esso contenuta: “PORTATE SOLUZIONI O FATE PARTE DEL PROBLEMA?”

 

L’implementazione della soluzione al problema

A tutti quelli che entravano nel suo ufficio per discutere di qualche problema, Saladini mostrava la nuova regola scritta nel poster e chiedeva prima di tutto se fossero già nella condizione di offrire opportunità di soluzione o se fosse necessario un ulteriore approfondimento da parte loro per essere in condizioni di farlo.

Evidenziava inoltre di essere disponibile a discutere e concordare la scelta della soluzione finale al problema, in base alle proposte scritte suggerite dall’interlocutore.

Saladini sapeva per esperienza personale che scrivere aiuta a pensare con chiarezza e a ponderare le situazioni e pensava che ciò fosse necessario per definire in modo chiaro e completo il “nocciolo” del problema (essendo peraltro l’interlocutore molto spesso più vicino allo stesso di quanto lo fosse lui) e argomentare in modo esaustivo le soluzioni al problema evidenziato.

Nel giro di poco tempo, dopo aver appeso il poster, Saladini poteva già apprezzare i seguenti positivi effetti:

  • una riduzione drastica delle visite per evidenziare semplicemente un problema.
  • l’insorgere delle prime richieste di incontro per scegliere tra una ridda di soluzioni a un problema.
  • la tensione positiva generata dalla condivisione di informazioni, pareri, idee e suggerimenti e la maggior consapevolezza nei collaboratori di far parte di un’unica squadra.
  • il radicamento nei collaboratori di una condivisa metodologia di soluzione dei problemi, articolata nelle fasi a) Individuazione, definizione e descrizione del problema, b) Ricerca delle soluzioni, c) Scelta della soluzione, d) Implementazione e valutazione della scelta fatta.

Gli effetti del Problem Solving nello sviluppo della Leadership Condivisa

I problemi fanno parte della vita, sia privata che lavorativa. L’importante è focalizzare la nostra attenzione nella ricerca di soluzioni efficaci.  Non è un caso che nel mondo del lavoro, delle tante competenze richieste a un leader, la capacità di risolvere i problemi in modo efficace/efficiente sia forse la più determinante.

In un contesto estremamente incerto, di cambiamento continuo, far leva sui membri dell’organizzazione/reparto/team di appartenenza, coinvolgendoli per trovare la soluzione migliore a un problema, è certamente il modo più veloce ed efficace per riuscirci.

Inoltre, è anche bene sottolineare che il coinvolgimento di collaboratori e colleghi, volto ad espletare le attività necessarie alla risoluzione di un problema, ha anche il vantaggio di rinforzare le dinamiche interne all’organizzazione/reparto/team, i cui membri vengono resi maggiormente consapevoli di essere parte integrante e vitale dei processi operativi.

Ebbene, massimizzare il contributo di tutte le risorse umane in un’organizzazione, responsabilizzando le persone e fornendo loro l’opportunità di assumere posizioni di leadership nelle specifiche aree di competenza, è la caratteristica principale della Leadership Condivisa.

Le attività di Problem Solving possono quindi essere il primo passo per svilupparla, allo scopo di ottenere maggiore efficienza/efficacia nei risultati e, in definitiva, ad affermare/confermare l’autorevolezza del leader.

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(*) Leadership condivisa (Sharing Leadership): Marshal Goldsmith, noto leadership coach americano, descrive così il fenomeno  in un articolo per la Harvard Business Review: “La leadership condivisa massimizza il contributo di tutte le risorse umane in un’organizzazione, responsabilizzando le persone e fornendo loro l’opportunità di assumere posizioni di leadership nelle specifiche aree di competenza”.

 

photo by Jonny Gios

Di Vessillo Gianni Valentinis

Laureato in Ingegneria al Politecnico di Milano, ha percorso la sua carriera nell’ambito di società multinazionali, ricoprendo vari ruoli dirigenziali e acquisendo una profonda conoscenza delle necessità del business, del suo sviluppo e della gestione d'impresa. I suoi attuali interessi sono rivolti allo sviluppo individuale e organizzativo e alle dinamiche di innovazione nelle organizzazioni, temi su cui ha svolto attività di consulenza e docenza. Ha pubblicato “Alla ricerca dell’eccellenza comportamentale” con A. Mandruzzato, Ed. Franco Angeli, 2014; “La strada per l’eccellenza” con A. Mandruzzato, Ed. Etabeta, 2022.