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Dopo aver analizzato nella prima parte la differenza tra la complicazione e la complessità e quanto sia importante

  • semplificare la complicazione
  • ed al contrario cercare di comprendere e affrontare al meglio la complessità,

può essere davvero utile riflettere – anche durante un coaching manageriale – sul fatto che, spesso inconsapevolmente, rifuggiamo dalla complessità, voltandoci letteralmente dall’altra parte. Preferiamo cioè semplificare la nostra visione della realtà perché in questo modo ci risulta più facile affrontarla. Salvo poi accorgerci, ma troppo tardi, che non siamo riusciti a farvi fronte adeguatamente (=perdite di tempo; scarsa o nulla efficacia; grosso rischio di compiere errori).

 

Perché rifuggiamo dalla complessità?

Capirne le ragioni è fondamentale per poter modificare i nostri comportamenti. La risposta, tanto per cambiare, è complessa, per cui richiede un approccio multidisciplinare.

  • Da un punto di vista sociologico, ad esempio, possiamo sicuramente affermare che né l’Università (salvo rare, preziose eccezioni) né più in generale i mass media ci aiutano a ragionare in termini di complessità (a proposito, che pena quei dibattiti televisivi in cui numerosi ospiti sono chiamati a commentare, in mezz’ora, fatti molto complessi, per cui i conduttori li bloccano dopo poche battute perché altrimenti mancherebbe il tempo, impedendogli di fatto di affrontare appunto la complessità del tema oggetto di discussione!).
  • Da un punto di vista psicologico, parallelamente, è chiaro che la semplicità è più sostenibile da parte dell’essere umano rispetto all’incertezza insita nella complessità.
  • Da un punto di vista neuroscientifico, in aggiunta, è ormai evidente che il nostro cervello preferisce lavorare in modalità ecologica, risparmiando energia tramite le routine e la semplificazione. Infine da un punto di vista scientifico non possiamo dimenticare che veniamo da una tradizione plurisecolare di ispirazione cartesiana che ancora ci influenza, secondo la quale il mondo era un po’ come un orologio: una volta scoperti i meccanismi che lo fanno funzionare nulla poteva più esserci di nascosto (visione deterministica e meccanicistica). La concezione del mondo era quindi improntata alla logica ed alla coerenza. Solo nell’ultimo secolo la scienza si è confrontata con la complessità fatta di contraddizioni, imprevisti, incertezza, punti di vista differenti ma egualmente veri ecc. (pensiamo, solo per fare un esempio, ai buchi neri, alla materia oscura, ai quark con tutte le novità dell’infinitamente piccolo ecc.).

 

Complessità e lavoro

Bene! Dopo tanta analisi è giunto finalmente il momento di entrare in azienda, a partire dalla constatazione – comune a tutti a qualsiasi livello si operi – che la complicazione e la complessità in questi anni sono fortemente aumentate. Secondo un’analisi del Boston Consulting Group (Institute for Organization), nelle aziende dal 1955 al 2010 la complessità è aumentata di 6 volte, la complicazione addirittura di 35 volte! Non è azzardato pensare che l’incremento della complicazione derivi da un approccio errato alla complessità. Di sicuro, tutto ciò ha pesanti ripercussioni sulla produttività e sulla motivazione dei dipendenti. Ma da dove deriva invece l’incremento di complessità nelle aziende? Possiamo citare almeno due possibili cause, lasciando al lettore ogni più raffinata analisi di dettaglio:

  • innanzitutto in questi anni sono aumentati (e sono diventati più esigenti!) gli stakeholder: azionisti, dipendenti, autorità politiche, di controllo e vigilanza…
  • In aggiunta, vi è sempre più disponibilità di alternative per i clienti che sono quindi sempre meno disposti ad accettare compromessi (si pensi, solo a titolo di esempio, cosa ha significato nel tradizionale mondo del commercio l’incalzante avanzata del commercio elettronico!).

Tornando dunque al nostro manager che, aiutato dal suo coach, sta riflettendo sulla complessità in azienda e su come affrontarla al meglio, quali consigli pratici (ma non certo norme operative rigide, sempre e comunque valide!) potremo dargli?

Vediamone alcuni, senza alcuna assurda pretesa di completezza:

  • Non cercare per forza la soluzione immediata ad un problema complesso.
  • Non pensare che per ogni problema complesso esista una unica soluzione.
  • Non fermarsi ai singoli elementi di un problema complesso ma fare connessioni e capire gli effetti che scaturiscono dalle relazioni che li legano.
  • Avere coscienza dell’incertezza.
  • Non illudersi che siano i soli dati, il digitale, l’Intelligenza Artificiale a salvarci dai problemi che noi stessi abbiamo generato.

 

Un ulteriore, fondamentale suggerimento ci viene proposto dagli autori del libro “Smart Simplicity”, Yves Morieux e Peter Tollman (Egea, Milano, 2015), che così si esprimono: “«…il fattore umano rappresenta la risorsa chiave per gestire la complessità. Le aziende devono fare affidamento sull’intelligenza e l’ingegnosità dei collaboratori, lasciando loro maggiore autonomia e spazio di manovra…per trovare soluzioni creative a nuovi problemi….sfruttando al meglio le informazioni a loro disposizione… Una delle conseguenze della complessità è infatti che nessuno possiede tutte le risposte. Per questo è necessario che gli individui usino la propria autonomia per cooperare tra loro…Bisogna creare un ambiente in cui le persone lavorano insieme per trovare soluzioni creative a problemi complessi».

 

Buone pratiche per gestire la complessità

Da questa riflessione possono derivare tantissime buone pratiche. Vediamone alcune, certamente non nuove ma valide oggi più che mai, alla luce delle considerazioni sin qui svolte:

  • Conoscere il più possibile i propri collaboratori, chi sono, cosa fanno, cosa li motiva e cosa li demotiva, con chi interagiscono, quali risorse/obiettivi/vincoli hanno ecc.
  • Attenzione alla caccia al colpevole, che blocca ogni possibile proattività dei collaboratori. Creare una vera e propria cultura dell’errore  bandendo dal vocabolario aziendale il termine di <colpa> (tipico invece dell’ambito giuridico o teologico) da sostituire semmai con quello di <responsabilità> (=capacità di dare risposte).
  • Creare momenti periodici di brainstorming  (incoraggiare il problem solving  e l’innovazione!) e momenti/strumenti di condivisione delle informazioni (ad esempio comunità di pratica). Far cooperare le persone tra loro.
  • Favorire lo scambio di feedback.
  • Provare di tanto in tanto a far mettere le persone nel ruolo ( = nei panni) degli altri.
  • Creare occasioni in cui le persone sperimentano le conseguenze positive dei loro contributi individuali.
  • Consentire ai propri collaboratori di conoscere di persona  i colleghi degli altri uffici con cui si interfacciano e i rispettivi contesti lavorativi.
  • Favorire la job rotation.

A conclusione di queste riflessioni, il giornalista/umorista romano Michele Serra ci fa di nuovo pensare, ma finalmente con un sorriso:

“Nessuno ha il tempo di sopportarla, la complessità: se bastano pochi secondi per ottenere una risposta, nel giochino mondiale del web, perché diamine devo rompermi la testa in qualche maledetta analisi o ragionamento»?

Di Attilio Leoni

Opera attualmente come manager in ambito commerciale presso l'Azienda Trasporti Milanesi Spa dopo aver maturato una lunga esperienza come responsabile della formazione e più di recente nelle Operations. In precedenza è stato responsabile della selezione e dello sviluppo, si è occupato di gestione del personale e di comunicazione interna. Ha curato nel 2015 con M.E. Salati la pubblicazione del libro "Neuroscienze e Management" e nel 2021 del libro "Neuroscienze e sviluppo (del) personale", scrive inoltre articoli di management su periodici e siti online. In collaborazione con l'Istituto Francese di Archeologia Orientale del Cairo e con l'Università Statale di Milano ha svolto attività di archeologo e papirologo.