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Rieccoci qui. Dopo il precedente <Studenti e burnout> proveremo ad approfondire maggiormente il tema di questo ospite non gradito negli ambienti universitari, e ulteriormente aggravato dalla pandemia Covid 19.

Partiamo da qualche dato, non perché ci piaccia dare i numeri; partiamo dai dati perché sono la rappresentazione matematica -quindi il più oggettiva possibile- di una situazione e ci forniscono un prezioso supporto per differenziare la divulgazione scientifica dall’ opinionismo da bar. Per esempio- e partiamo dagli Stati Uniti dove le ricerche sul tema sono molto più avanzate e frequenti- il rapporto 2017 del Center for Collegiate Mental Health of  University Park, in Pennsylvania, ha individuato i sintomi della depressione nel 20% degli universitari americani oggetto del campione. Nel Regno Unito un sondaggio di qualche mese precedente, promosso dalla National Union of Students, evidenziò che il 78% degli studenti intervistati, stava soffrendo di disturbi mentali durante la propria esperienza universitaria; quasi la totalità di questi ultimi, dichiarò di sentirsi senza forza o in preda all’ansia. Risultarono alte anche le percentuali di disturbi più gravi, quali depressione, insonnia, irritabilità e sbalzi di umore, fino ad arrivare agli attacchi di panico e all’insorgenza di comportamenti anaffettivi. Un’altra importante ricerca condotta dall’azienda di tecnologie finanziarie IeDigital, ha rilevato che lo stress causato dall’esperienza universitaria influenza negativamente le relazioni interpersonali e, paradossalmente, il buon esito degli esami nel 32% del campione intervistato.

Ma è davvero solo l’ambiente troppo stressante -o più stressante che in passato- a generare malessere, o sono i nostri giovani ad essere meno strutturati per far fronte agli stimoli certo stressogeni, ma costitutivi e intrinseci del percorso universitario, quali esami, lezioni, gestione burocratica degli eventi, numero elevato di ore di studio e di concentrazione, accettazione del giudizio e del rifiuto? Io credo entrambe le cose in proporzione variabile. Lo credo, perchè un sistema va guardato nella sua interezza[1] e le cause che originano una situazione sono spesso molteplici e in molti casi sedimentate l’una sull’altra.

 

Mi chiedi qual è la situazione in Italia?

In Italia la situazione ci racconta questo: su 8 milioni di ragazzi tra i 12 e i 25 anni, quasi 3 milioni affermano di non essere soddisfatti della propria vita e di non sentirsi a posto a livello psichico[2]. I motivi possono essere diversi e tra questi c’è sicuramente la pressione degli studi e l’alta competitività degli ambienti universitari; tuttavia non possiamo tenere sul limite la mancanza di prospettive per il futuro, l’impoverimento mentale ed emotivo di chi vive in una epoca di passioni tristi[3] e ha disancorato l’obiettivo finale -la laurea, nel nostro caso- dal tema della resistenza alla fatica, del lavoro responsabile e impegnato, della accettazione del proprio limite e dei propri doveri[4]. Come affermato nel precedente articolo, il burnout universitario trova un buon terreno di coltura in situazioni pregresse di disagio psichico che hanno radici già nelle scuole medie e superiori. La strutturale impreparazione dei nostri giovani a perseverare per i propri obiettivi, la loro scarsa resistenza alla fatica e la bassa tenuta di concentrazione[5], la loro fragilità psichica e la malcelata debolezza[6] si scontrano con un sistema ad alta competitività.

Chi paga il prezzo? E come? Il pericoloso mix tra desiderio di alte prestazioni e incapacità di ottenerle -o meglio, in molti casi, di lavorare con cura per ottenerle- genera gravi effetti collaterali secondari come l’abuso delle smart drug, le cosiddette droghe dello studio che tengono alta l’attenzione e migliorano le performance. Modafinil, Adderall, Ritalin, Dexedrine sono nomi sempre più conosciuti fra gli studenti. Secondo il Global Drug Survey del 2018 il consumo di smart drug in Europa è passato dal 5% del 2015 al 14% del 2017; un bel salto, non credi?

Secondo il Journal of American College Health,  queste droghe provocano una facile dipendenza, influiscono sull’umore e sulla salute mentale inducendo stati di nervosismo e sovraeccitazione, facilitano l’insonnia e l’insorgere di problemi cardiovascolari. In Italia, diversamente che negli Stati Uniti, i problemi della depressione, del disagio psichico e del burnout fra gli studenti non sono abbastanza monitorati, o almeno non vi sono ancora un numero sufficiente di studi che mettano in relazione lo stress dell’ambiente universitario con il sopraggiungere di disturbi più gravi. Allo stesso modo non si fa attenzione all’abuso di smart drug, che si possono facilmente reperire online.

Che il problema esista e sia diffuso, lo testimonia tuttavia il fatto stesso che negli ultimi due anni sono aumentate in tutta Italia le strutture universitarie che mettono a disposizione degli studenti un servizio di ascolto gratuito, come gli studi e le iniziative di coaching scolastico. Ma questo flebile segnale, non può certamente garantire una risposta di alto valore clinico ad un problema così grave che ci interroga con forza.

 

Cosa possiamo fare allora?

Dobbiamo intanto accettare una premessa e un limite di partenza: lo studente universitario è un soggetto adulto, ha già superato gli anni della formazione ed è dunque fuori dai processi di sorveglianza educativa. Il lavoro che pertanto va fatto, con lo studente e a suo vantaggio, è un lavoro di riposizionamento di se stesso all’interno di un contesto ben preciso. Un lavoro di counseling o coaching o supporto psicologico che lo aiuti a guadagnare una vera consapevolezza di sé, del proprio limite,  della propria forza e del proprio desiderio, che è il motore del benessere[7], se diventa il protagonista di un buon ascolto e di una buona mediazione con quello che è il regno delle cose possibili, con le quali ciascun essere umano, a qualunque età, deve fare i conti.

Qui al centro medico Vivavoce, abbiamo sviluppato una proposta molto interessante per gli studenti universitari; tale proposta ha il valore aggiunto di essere davvero sistemica poiché abbraccia il tema della sofferenza psichica durante gli studi universitari, con differenti punti di approdo che sono fortemente embricati e non possono essere scissi o trattati singolarmente. L’essere umano infatti non è a pezzi  e il benessere psichico è il risultato del lavoro di riconoscimento e integrazione delle proprie parti in dialogo. Così, qui al centro medico, dedichiamo agli universitari un servizio composito fatto di coaching per potenziare – o creare del tutto lì dove manchi- un metodo di studio efficace che tenga in serio conto le modalità con cui il nostro cervello apprende[8]; un servizio di ascolto psicologico sia per gli studenti che per le loro famiglie, se fosse necessario. Abbiamo messo a punto inoltre, un servizio di orientamento per supportare il giovane studente (e la sua famiglia) che in situazione di burnout, si trovi nella difficile empasse di non riuscire più a proseguire il percorso di studi e al contempo di non sapere scegliere altrimenti perché in molti casi -vista la scarsa cura con cui si fa orientamento in Italia- non sa farlo e necessita di una nuova apertura di sguardo che non sia un semplice indirizzamento. Se non aiutiamo infatti il giovane paralizzato nella sua navigazione, a visualizzare e a disegnare la sua mappa interiore, se non lo supportiamo nello scoprire le sue inclinazioni e nell’orientarsi di conseguenza verso la propria autentica realizzazione, presto o tardi, potrebbe trovarsi nuovamente privo di alcun approdo. Come infatti, ancora oggi insegna Seneca, “nessun vento è favorevole per il marinaio che non sa in quale porto vuole approdare”[9].

Noi, qui al centro medico, ci prendiamo cura. Lo diciamo tante volte. E prendersi cura, avere a cuore la salute di ogni giovane studente impegnato nel suo percorso di studi, non è offrirgli una soluzione o un sollievo temporanei; prendersene cura significa aiutarlo a crearsi gli strumenti necessari affinché sappia sempre, caso per caso, attingere alle proprie risorse e riuscire a trovare da solo le proprie soluzioni per raggiungere la meta desiderata.

 

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[1] Ludwig Von Bertalanffy, Teoria generale dei sistemi, Mondadori 2004

FritJof Capra, Il Tao della fisica, Adelphi 2018

[2] Rapporto giovani 2019-La condizione giovanile in Italia

[3] Miguel Benasayag e Gérard Schmit, L’epoca delle passioni tristi, Feltrinelli 2004; si veda anche Umberto Galimberti, L’ospite inquietante, Feltrinelli 2007

[4] Zygmunt Bauman, L’arte della vita, Laterza 2009

[5] Si veda: Daniel Goleman, Focus, BUR 2014; Nicholas Carr, Internet ci rende stupidi?, Raffaello Cortina 2011 e Patricia  Wallace, La psicologia di Internet, Raffaello Cortina 2017

[6] Rif.nota 3

[7] Si veda il tema nelle opere di Sigmund Freud rif: Compendio di tutti gli scritti, Bollati Boringhieri, 2017

[8] Barry e Tony Busan, Mappe mentali, Alessio Roberti 2013; Norman Doidge, Il cervello infinito, Ponte alle grazie 2007; Daniel J. Siegel, Mappe per la Mente, Raffaello Cortina, 2014; Howard Gardner, Cinque chiavi per il futuro, Feltrinelli 2007

[9] Seneca, Lettere a Lucilio, Bur Rizzoli Editore

Di Lucia Ivona

Trainer, counsellor e Coach, specializzata in Consapevolezza Mindful, biosistemica e teatroterapia. Attualmente vive e lavora e Milano; svolge attività di consulenza e libera professione in ambito terapeutico per la relazione di aiuto e in ambito professionale per lo sviluppo e il potenziamento delle capacità individuali attraverso percorsi di coaching personale e professionale rivolto a singoli e gruppi.