Contro i borghi

Filippo Barbera, Domenico Cerosimo e Antonio De Rossi con il loro “Contro i borghi – il Belpaese che dimentica i paesi” ci mettono in guarda dalla narrazione oggi in voga sui borghi. Belli, poetici, rurali.

E spesso finti. Risultato di una narrazione di marketing che ci induce a tipizzare, cercare il pittoresco, dimenticare che rurale significa anche fatica agricola, che l’isolamento montano comporta quello sociale, che gli animali da allevare puzzano, che essere lontano da un ospedale comporta dei rischi,  che l’edilizia di una volta prevedeva stanze buie e  gradini scomodi, ecc.

Per dirla con la presentazione su Amazon: Facile rap-presentazione ammalata di «metrofilia», che trae piacere dall’eccitazione per un oggetto percepito come atipico, privo di una propria volizione, da soggiogare e umiliare in un riconoscimento del tutto asimmetrico, dove il borghese illuminato e riflessivo «adotta» il borgo bello ma bisognoso. Un rapporto, questo, che misconosce l’autonomia dei territori, la loro libertà di «dire no», il loro carattere morale e paritario nella produzione di strategia di sviluppo condivisa. Fino a negarne l’identità specifica. Le conseguenze sono molteplici e nefaste. Come già per la cultura, la narrazione del «borgo» fa sì che anche la valorizzazione del territorio sia tale solo se inglobata nella goffa egemonia del «turismo petrolio d’Italia», oggi condita con una spruzzata di ecologismo che assomiglia più al giardinaggio che alla presa in carico della questione ecologica.

 

Perché segnalare qui questo libro?

Perché anche coach e counselor possono subire la tentazione di cedere ad una narrazione facile, o che va per la maggiore. Quanti coachee si presentano così?

  • il ristoratore che non riesce a motivare i suoi camerieri per colpa del reddito di cittadinanza
  • la manager  sicura di essere stata discriminata in quanto donna
  • il giovane che non trova lavoro a causa delle politiche governative
  • il capo che non riesce a parlare con i giovani perché non hanno valori
  • il professional che sente il gap di comunicazione interculturale nel suo team multinazionale.

Buona lettura! e soprattutto buona riflessione per uscire e aiutare a uscire dai luoghi comuni colti, accattivanti, trendy.