Insegnanti come coach. Per ragazzi troppo esposti al surriscaldamento. In modo che possano divenire adulti capaci di prendersi cura
Quando entro in una classe di scuola superiore per una giornata di formazione, una emozione intensa sempre mi assale.
Vengo catapultata in un solo preciso istante tra i banchi di scuola, e riaffiorano in me, le sensazioni di quegli anni.
Le rivedo, poi, una ad una, nei volti dei ragazzi che mi stanno di fronte.
Tutto questo, con la rapidità e la precisione di uno sbattito di ciglia.
Questo accade ogni volta. E ogni volta, questo, mi affascina.
I nostri giovani sono impegnati nel loro percorso di crescita. In questo sono del tutto simili ai giovani di ogni tempo. Tuttavia il loro impegno secondo me, è maggiore del nostro di un tempo.
Dalle mie parti, in dialetto si dice di un dolce che “è avvampato”, quando viene messo in forno ad una temperatura eccessiva rispetto a quella consigliata: in maniera troppo veloce cuoce solo la parte esterna. Questa maldestra cottura impedisce del tutto la lievitazione e ci consegna il dolce scottato in superficie, basso, crudo e sostanzialmente duro, con la superficie bruciata. Avvampato, appunto.
I ragazzi delle mie aule mi fanno pensare a questo. Mi sembrano costretti ad una lievitazione troppo rapida, curati ed esposti a temperature esterne troppo calde per loro. Il mondo degli adulti, e non escludo me stessa da questo, non garantisce più a nessuno di loro un ambiente accudente e caldo, dove lasciare lievitare la loro vita e la loro energia con il giusto tempo. Non riesco più a contenerla, questa energia, a frappormi ad essa come un giusto confine dove infrangendosi, loro possano creare gli argini e le premesse per una sana adultità. Non li contengo, ma li sfrego continuamente, non li guardo, ma li urto senza sosta, in una tensione eccessiva che brucia i corpi senza generare calore.
Un mondo adulto, iperfrettoloso, iperattivo, troppo impegnato a mantenersi saldo sulla scena e nelle piazze virtuali, per lasciare spazio alla loro crescita.
Un mondo adulto irrisolto, precario, immaturo, che ancora conserva troppo delle temperature bollenti dell’adolescenza, per lasciare spazio a quel tepore dove lo spirito dei più giovani possa dischiudersi e cominciare ad esplorare intimamente la sfera affettiva ed emozionale.
Già in culla vengono predisposti e stimolati ad essere di più degli altri, meglio degli altri, più avanti, più belli, più seduttivi, sempre a qualunque costo, con qualunque mezzo. E i nostri ragazzi imparano ad usare strumenti potenti, prima ancora di capire a cosa servano realmente, per diventare ciò che le nostre paure in merito agli insuccessi, li esortano ad essere. E questo accade, sotto il nostro sguardo miseramente indifferente, se non addirittura plaudente.
Così, il loro impasto morbido a lievitazione lenta, si surriscalda troppo in fretta e si incanta; si interrompe una buona cottura; ci sembrano dorati in superficie e questo ci basta. Ci sembrano avanti, sanno fare cose che prima noi non immaginavamo nemmeno di sapere fare, sono abilissimi nell’uso della tecnologia e dei social media, sono sgamati. Ma sotto la crosta dorata?
Sotto quella crosta, i nostri ragazzi a me sembrano soli, emotivamente disconnessi, incapaci, analfabeti. In competizione anche con un mondo adulto che li accoglie come rivali. Il mondo è troppo piccolo per starci tutti… già è faticoso per noi, figuriamoci per voi! Crescono come teneri germogli nella rabbia e nella frustrazione dei grandi, che alza la temperatura esterna e li incendia fino a bruciarli.
Non è questo che voglio per loro. Nessuno di noi deve volerlo.
Pensiamoci con attenzione.
Come faranno i giovani, se li incantiamo, se li bruciamo, a divenire adulti capaci di prendersi cura? Di avere a cuore qualcuno o qualcosa?
Non foss’altro che per una logica di mero opportunismo e di oggettivizzazione delle persone -che bene si sposa con quello che ciascuno di noi grandi quotidianamente compie privatamente o pubblicamente, in maniera del tutto naturale oramai, quasi senza più nemmeno accorgersene- dovremmo non volere che i nostri giovani si avvampino. Perché quando saranno loro a gestire il mondo, analfabeti emotivi, soli ed isolati, saremo noi a essere gli anziani, la parte fragile, l’anello debole. Che cosa ne faranno di noi?
Più che mai, oggi, dobbiamo mettere ogni energia possibile, ogni possibile risorsa a vantaggio di una loro lievitazione lenta. Siamo tutti responsabili e il mondo esteso della formazione e dell’educazione ha il dovere morale di non sottrarsi a questo impegno di legare solidalmente le generazioni.