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Abbiamo visto nel precedente articolo “Il capo sa tutto. O no?

 

miguel-a-amutio-Sla4eIcR_PA-unsplashche il capo non può essere sempre quello che ha le risposte giuste e sa fare meglio dei collaboratori.  La domanda allora è: “dove può trovare le risposte?”

Le strade – per fortuna – sono molte, e sta ancora una volta all’abilità del manager tracciarle di volta in volta. Di sicuro, spesso, le risposte (giuste) si possono trovare tra le persone più operative che svolgono da anni la propria attività.

La sfida è quella di creare il contesto utile per stimolare la collaborazione, il feedback, il dialogo, il brainstorming.   Spesso infatti le persone preferiscono non esprimere le proprie idee e proposte, soprattutto per il timore di:

  • Essere giudicati per quanto si dice
  • Entrare in conflitto con qualche collega o superiore
  • Apparire fuori dal coro

 

Una interessante strada, tra le molte, può essere quella di creare delle comunità di pratica (1), secondo la definizione di Étienne Wenger: spazi e tempi per incontrarsi periodicamente tra professionisti che svolgono la stessa mansione per scambiarsi ciò che di meglio (o di peggio, si impara tantissimo dagli errori!) ha prodotto ciascun suo membro. L’obiettivo è il miglioramento collettivo attraverso la costruzione di una conoscenza comune condivisa.

Un altro interessante esempio è quello dell’azienda Gucci (e altre) che ha creato un Consiglio di Amministrazione ombra, cui partecipano gruppi di giovani dipendenti appositamente nominati, che lavorano per parte del loro tempo insieme agli Executives su alcune tematiche di strategia. Inutile dire che i risultati di questa pratica si stanno rivelando particolarmente significativi, come di recente illustrato dalla Harvard Business Review (2).

Una terza possibile strada vede come protagonista la formazione: in ATM, l’Azienda dei Trasporti Pubblici di Milano, da alcuni anni gruppi di tecnici frequentano un corso teorico/pratico sulla lean organization dove apprendono le principali metodologie utili a snellire i processi lavorativi, recuperando di volta in volta efficienza e/o efficacia. Al termine dell’aula i partecipanti vengono suddivisi in tre/quattro gruppi di lavoro, che nei successivi due mesi si occuperanno ciascuno di un diverso reale processo lavorativo su cui sperimentare i metodi lean, con la supervisione dei propri manager e del docente, trasformatosi quindi in team coach. Anche in questo caso si è sempre verificata la capacità del personale di intervenire concretamente sui processi migliorandoli attraverso innovazioni, spesso a costo zero, che comportano recuperi di produttività.

Tutto ciò ad ulteriore riprova che nel ruolo del capo non c’è solo la capacità di fornire le risposte (giuste), ma anche quella di creare un contesto adatto alla generazione delle risposte da parte degli stessi protagonisti del processo produttivo.

 

Si veda per un utile approfondimento:

  1. sulle comunità di pratica
  2. hbr.org/2019/06/why-you-should-create-a-shadow-board-of-younger-employees?utm_source=twitter&utm-campaign=hbr&utm_medium=social

Di Attilio Leoni

Opera attualmente come manager in ambito commerciale presso l'Azienda Trasporti Milanesi Spa dopo aver maturato una lunga esperienza come responsabile della formazione e più di recente nelle Operations. In precedenza è stato responsabile della selezione e dello sviluppo, si è occupato di gestione del personale e di comunicazione interna. Ha curato nel 2015 con M.E. Salati la pubblicazione del libro "Neuroscienze e Management" e nel 2021 del libro "Neuroscienze e sviluppo (del) personale", scrive inoltre articoli di management su periodici e siti online. In collaborazione con l'Istituto Francese di Archeologia Orientale del Cairo e con l'Università Statale di Milano ha svolto attività di archeologo e papirologo.